Il terremoto che ha colpito l'Irpinia, 25 anni fa, non può essere ricordato soltanto come l'inizio di una lunga notte di illegalità. Quei giorni e quelle terre tremule furono anche il teatro di una straordinaria mobilitazione civile, segnarono l'atto di nascita o per lo meno di legittimazione nazionale del fenomeno del volontariato così come oggi lo conosciamo ed è riconosciuto: uno dei canali principali per il quale passa la partecipazione degli italiani alla vita civile ed anche una nuova dimensione dell'orgoglio di appartenere ad una stessa patria. Furono chiamati "Angeli del terremoto", persone senza ali, ma con le mani e gli stivali sporchi di macerie, che lavorarono instancabilmente per molti giorni e molte notti solo per dare una mano alle popolazioni colpite dal terremoto. Erano migliaia, arrivarono da tutta l'Italia senza che nessuno li avesse chiamati, per aiutare e salvare vite umane. Dal Nord, dalle Isole, dal Sud e dal Centro, in migliaia decisero di correre in soccorso delle popolazioni campane e lucane. Con le proprie auto, con mezzi di soccorso recuperati in extremis, tutti carichi di provviste, coperte, medicinali. Alcune loro testimonianze, La Nuova Ecologia, le ha raccolte per dare voce a un volontariato volitivo, dinamico, che vuole sì aiutare il prossimo, ma anche cambiare almeno un poco il mondo.
«Quando avevo 18 anni partii con una squadra organizzata dall'allora Fgci per Lioni. Fu una delle esperienze più memorabili ed importanti della mia vita. Ho conosciuto la solidarietà più tenace e la disperazione più nera. Una delle prime immagini che vidi quando arrivammo a Lioni, la porterò impressa nella memoria per il resto della mia vita: in quello che rimaneva della piazza c'era una fontana. L'acqua al suo interno era completamente congelata. La furia del terremoto vi aveva scaraventato dentro decine di foto di una qualunque delle centinaia di famiglie vittime della catastrofe. Le foto erano sommerse nell'acqua congelata e incastrate nello strato di ghiaccio. Mi impressionò molto e pensai che la violenza di quelle scosse aveva messo a nudo, in piazza, alla mercé di tutti, anche le storie e i ricordi più intimi che ogni famiglia custodisce». Biancastella C., Firenze
«Il mio nome è Massimo, all'epoca vivevo ancora a Napoli (ora vivo a Bologna) e quattro giorni dopo le violente scosse, in moto e con due miei amici a bordo di una Fiat 500, carichi di capi d'abbigliamento recuperati fra parenti ed amici e generi di prima necessità, partimmo alla volta dell'Irpinia al seguito di una carovana della C.R.I. Superati i posti di blocco che regolavano l'accesso alle zone terremotate, la carovana si diresse verso la Basilicata, mentre noi proseguimmo in territorio campano, fino a giungere a Lioni, dove, per i successivi giorni prestammo la nostra modestissima opera d'aiuto. Furono giorni duri, con pioggia incessante, neve e freddo intenso, giorni carichi di fatica nei quali, al susseguirsi delle scosse d'assestamento e dei camion da scaricare, sporadicamente riuscivamo a riposare. Furono giorni pieni di dolore per quanto si offriva ai nostri occhi (...e non abbiamo mai avuto occasione di vedere vittime del tragico evento), giorni colmi di tristezza che non dimenticherò mai». Massimo M., Bologna
«Sono andata in Irpinia vent'anni fa perché direttamente coinvolta in quella tragedia e poi ci sono tornata come volontaria. Vorrei però riflettere su quanto è successo dopo il terremoto. Tanti di questi paesi hanno perso la loro anima, si sono scatenati gli appetiti di fronte ad un mare di soldi, che avrebbe potuto favorire una ripresa economica in un'area ricca di bellezze paesaggistiche, ma con un territorio fortemente dissestato. A venticinque anni di distanza quando ritorno in quei luoghi mi rendo conto di quanti pessimi interventi siano stati fatti, apportando nuove ferite al territorio che ne compromettono ulteriormente la stabilità. Proprio durante un viaggio nella zona, una pioggia torrenziale ha cominciato a portare giù dalle pendici della montagna, fango e detriti di ogni genere sulla strada che stavo percorrendo. Sono state costruite strade e viadotti dappertutto; molte opere sono rimaste a meta', perché ovviamente i prezzi sono saliti nel corso della realizzazione e non ci sono stati fondi sufficienti al completamento. Sono sorte centinaia di zone industriali zeppe di capannoni che non so quanto saranno costati, ma quanti sono utilizzati? Le stesse case ricostruite nei singoli paesini sono fatiscenti dopo pochi anni, eppure i contributi sono stati congrui. Che cosa vuole essere questa giornata? Un omaggio ai morti? Un atto di accusa per una "ricostruzione" che ha provocato forse maggiori danni quanti ne abbia fatto il terremoto? I volontari sono spesso stati insostituibili, ma non è sul loro operato che si può obiettare. Resta invece una grande amarezza sulla quantità enorme di danaro speso male, lasciando la maggior parte dei problemi di quel territorio insoluti». Maria P., Bari
«Mi chiamo Leonardo. Ho cercato di aiutare per qualche giorno gli abitanti di Laviano nei primi giorni di gennaio del 1981; facevo parte di una squadra mandata dalla Amministrazione della Provincia di Perugia. Abbiamo montato latrine e fatto altri piccoli lavori. Ricorderò sempre, oltre allo strazio delle persone afflitte dalla morte dei propri cari, l'opera di un gruppo di volontari di Genova, operai Italsider, dalla profonda umanità e dal grande senso di solidarietà». Leonardo, Perugia
«C'ero anch'io tra i volontari che parteciparono volentieri e numerosi alle attività di primo soccorso e sostegno alle popolazioni dell'Irpinia duramente colpite dal terremoto del 1980. Lavoravo in Banca, utilizzai gli ultimi giorni di ferie che mi rimanevano e partii qualche giorno dopo il 23 novembre con un'autocolonna organizzata dal comune di Vicenza. Arrivammo a Teora dopo molte ore di viaggio, uno dei paesi, se non vado errato, vicini all'epicentro del sisma e per gran parte distrutto. Ricordo sicuramente il dramma di quella gente che aveva perso tutto o quasi e che si ostinava a non lasciare quello che restava della propria casa e dei propri affetti. O iI morti, spesso abbracciati uno all'altro sotto cumuli di terra e sassi. Ma ricordo anche che fin da subito ci rendemmo conto del problema della legalità, di quelli che "volevano approfittare dell'occasione", fummo costretti ad organizzare turni di guardia a controllo del materiale e dei mezzi che avevamo portato. Anche dal punto di vista umano fu un'esperienza significativa e importante e molti di coloro che parteciparono purtroppo non li ho più rivisti». Danilo R., Vicenza
«A cena davanti alla televisione, la notizia di apertura del Tg1 parla di un terremoto di dimensioni considerevoli in Campania e Basilicata. Dico a mia madre: "prepara lo zaino". Il comitato della Versilia della Croce rossa italiana organizza una colonna mobile per la partenza. Si parte di notte e lungo l'autostrada incontriamo altre colonne di soccorso, tutte con la stessa destinazione. Ai caselli, agli autogrill, alle stazioni di rifornimento, ci trattano tutti con gentilezza come fossimo persone speciali. Arriviamo a Senerchia e le prime luci dell'alba ci fanno vedere la distruzione delle case che formavano il paese. Cominciamo a renderci conto... sarà dura. Al centro del paese su un cumulo di macerie molto alto, troviamo Vigili del Fuoco, Agenti della Forestale, gente di Firenze. Con le mani, insieme a loro, lavoriamo per spostare le macerie. Sotto coi sono tre donne da estrarre e non possiamo adoperare le pesanti macchine, solo le mani. Alla sera solo una sarà recuperata ancora viva. I giorni passano tutti uguali e veniamo a sapere che anche gli altri colleghi e compagni di avventura ritrovano dei cadaveri. Tutto uguale per tutti. C'è pioggia, freddo, grandine e fango ma bisogna andare avanti perché bisogna aiutare chi ha realmente perso tutto. Associazioni, corpi militari, gruppi civili, dobbiamo darci la mano e cercare di dare un po' di conforto alle vittime del disastro. Sono passati 25 anni, il nuovo millennio è arrivato, del paese distrutto, mi sono chiesto più volte se è stato ricostruito sempre in quella zona o più a valle. Poco importa però, ciò che è importante è che vite innocenti, bambini, donne, anziani, non abbiano più quei visi ricolmi di dolore che io ho conosciuto». Angelo M., Varese
«Sono partito per l'Irpinia la sera del 24 novembre 1980 da Catania, con una colonna di ambulanze della Cri di cui ero volontario. Ci siamo presentati alla prefettura di Potenza al mattino. Appena giunti, da qui ci hanno divisi: il mio gruppo si è recato dapprima a Balvano (dove siamo stati una settimana, in compagnia dei Vigili del Fuoco di Potenza e poi dei militari, a tirar fuori i morti dalla Chiesa.), quindi a Senerchia ed infine a Muro Lucano, dove sono rimasto presso il Campo Socio-Assistenziale della Cri (a ridosso dell'Ospedale da campo della M.M. di Taranto) fino ai primi di febbraio del 1981, collaborando, per la distribuzione dei viveri di prima necessità nei casolari distribuiti fra i monti della Basentana insieme al personale ed ai mezzi della Croce rossa tedesca e festeggiando il Natale insieme ai terremotati». Francesco P., Catania
«Quella domenica di novembre, mi trovavo a fare il militare a Nocera Inferiore, quando una violenta scossa cambiò non solo l'aspetto esteriore delle cose ma cambiò anche il mio aspetto interiore, infatti da allora vedo quello che non riuscivo a vedere ed apprezzare prima. Ho scavato tra le macerie, non soltanto perché ero un militare, ma soprattutto per spirito di solidarietà nei confronti di chi era stato meno fortunato di me. Ho rinunciato volentieri alla mia razione di cibo per dare un po' di conforto e sollievo a chi avrebbe continuato a soffrire mentre io, di lì a poco, con aiuto di Dio, sarei tornato a casa mia, dalla mia famiglia. Ma che incubi la notte! Nelle orecchie mi risuonano ancora, a distanza di tanti anni, le implorazioni d'aiuto e il pianto disperato di chi aveva perso tutto nel giro di qualche minuto, in quella maledetta domenica di Novembre di 25 anni fa». Stefano D. F. G., Bolognetta (PA)
«Io non ero sul posto, ma già dalle 18,30, nella mia sala radio di Catania, mentre ero in collegamento con un radioamatore di Firenze e uno in Serbia, le rispettive sedie iniziarono a camminare e con il microfono in mano ci annunciammo la violenza del disastro. Alle 19 circa con interventi radio di radioamatori di Potenza, Napoli e Salerno, abbiamo individuato la zona principale nella quale il sisma si era svolto. Allora dirigevo una agenzia del banco di Roma, facendo parte del centro emergenza radio, fui precettato e per tre giorni e tre notti ho coordinato dalla mia stazione un gruppo di radioamatori catanesi, che la stessa notte si è diretto nella zona per attivare le uniche comunicazioni possibili. Essi, unitamente a tanti altri, hanno iniziato a trasmetterci radio-telegrammi dalle zone più disastrate ed io, con la collaborazione di altri colleghi, ne abbiamo consentito la ritrasmissione dalle Pptt di Catania. Abbiamo dato tantissime notizie ai familiari dei terremotati in tutto il mondo, purtroppo talune non buone. Tra le esperienze vissute una: il nostro gruppo esterno si trovava in attesa di disposizioni operative presso una stazione di servizio autostradale vicino a Battipaglia. Da Salerno il servizio Cer comunica che una nuova scossa aveva buttato giù la prefettura, centro operativo di massima importanza. Immediatamente fu attivato il gruppo catanese che si portava sul luogo ed approntava in pochissimo tempo, sotto una tenda, l'ufficio provvisorio di quella prefettura che, mentre ancora i calcinacci cadevano, viene messo in condizioni di poter comunicare con la rete nazionale della protezione civile. Io non ho visto in faccia il dolore e la paura di quella gente, ho vissuto pero' in diretta tutto il loro dramma, quello dei volontari presenti e soprattutto la rabbia per la disorganizzazione tutta italiana dei soccorsi. Non ci fossero stati i radioamatori presenti in tutti i luoghi dopo pochissime ore, forse dopo una settimana ancora nessuno avrebbe saputo del dramma». Calogero F., Catania
«Quella domenica del 1980 ero a Perugia, studente di Agraria. Mi misi subito in contatto con la Caritas cittadina e quattro giorni dopo il terremoto partimmo per l'Irpinia. Dormimmo ad Avellino ed il giorno dopo arrivammo a S. Angelo dei Lombardi dopo aver attraversato Lioni. Lavorai insieme ai portuali di Genova a prestare soccorso ai medici intrappolati nel pronto soccorso dell'ospedale di S. Angelo. In quei sette giorni ho constatato le bassezze della gente e la sua generosità, ho visto l'inutilità dell'Esercito in quel momento e l'indispensabilità dei volontari. Dopo quell'esperienza decisi di fare il servizio civile e non il soldato». Fabio Di F., Pescara
«Durante le fasi d'intervento successive al terremoto in Friuli (6 maggio 1976), ho conosciuto quattro giovani postelegrafonici di Napoli che hanno operato come volontari all'ufficio PT di Gemona del Friuli: ragazzi fantastici con cui sarebbe stato impossibile non instaurare un buon rapporto. La sera del 23 novembre 1980 ho pensato a loro e ho immediatamente deciso di portare alla loro gente tutto l'aiuto che avrei potuto dare. Il 26 novembre mi unii come volontario alla squadra di tecnici e dipendenti del comune di Udine. Il giorno dopo siamo giunti a Tito Scalo, Balvano, Laviano, Santomenna e Castelnuovo di Conza, e poi in seguito a Potenza, Vietri ed Eboli. Nel periodo trascorso al Sud ho conosciuto una ventina di volontari della Camera dei Deputati che vorrei tanto rincontrare... Quelle due indimenticabili settimane, quell'esperienza umana mi rimarrà per sempre nel cuore e nella mente». Franz S. di Udine
«Mi chiamo Ugo e arrivai a Muro Lucano il 28 novembre con un gruppo di scout dell'Agesci di Ancona per organizzare un centro di distribuzione degli aiuti presso il convento locale. Mi piacerebbe rincontrare il signor Tonino Angelicchio di Muro Lucano, col quale lavorai gomito a gomito per tutto il periodo». Ugo S., Ancona
«All'epoca ero cassintegrato della Fiat e proposi alla V Lega Mirafiori della FLM l'impiego volontario di chi era nella stessa situazione. Insieme alla Regione Piemonte abbiamo organizzato una squadra di 30 persone e operato a Polla, Buccino, e S.Gregorio Magno. Ho sempre sperato di rincontrare i ragazzi con i quali ho condiviso momenti bellissimi, faticosissimi, emozionanti e di grande amicizia, ma soprattutto, i 12 obiettori di coscienza che abbiamo conosciuto e integrato nel nostro gruppo». Angelo C., Foggia
«Ero anch'io presente in Irpinia durante i soccorsi ai terremotati del 1980. Da volontario di 43 anni, dopo la permanenza in Friuli per il servizio militare, ero convinto di aver visto tutto in merito a distruzione e morte. Mi sbagliavo!». Vincenzo C. , Paestum
21 novembre 2005
Fonte: Nuova Ecologia