Con l'approvazione al Senato dell'articolo 15 del Decreto Ronchi, l'acqua potabile acquista lo status di "bene di rilevanza economica", la cui gestione, come quella di altri servizi pubblici locali, va affidata ai privati, cioè al mercato.
Non più bene pubblico, dunque, in quanto diritto essenziale per la vita (come stabilisce la Dichiarazione Universale dei diritti umani), ma merce al pari di altre, da consegnare agli interessi delle grandi multinazionali e di società a capitale prevalentemente privato, sottraendone la gestione alla sovranità delle Regioni e dei Comuni.
Contro questa scelta è necessario mobilitarsi subito, evitando che la norma venga approvata anche alla Camera dove il decreto approderà nei prossimi giorni.
Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua, a cui aderiscono decine di organizzazioni nazionali (tra cui l'Arci) e più di mille comitati territoriali, ha già promosso azioni di denuncia e lanciato una manifestazione davanti a Montecitorio per il 18 novembre.
Ma non sono soltanto le associazioni e i cittadini a protestare: decine di comuni - oltre alla Regione Puglia - stanno assumendo iniziative che impediscono la privatizzazione dei servizi idrici dei loro territori, rivendicando la propria competenza a decidere su questa materia e sollevando un conflitto di competenze col governo centrale.
D'altra parte, in tutta Europa paesi che avevano proceduto alla privatizzazione stanno tornando sui loro passi, alla luce del bilancio negativo che una simile scelta ha comportato in termini di efficienza e di lievitazione dei costi per gli utenti, proprio come nei comuni italiani dove l'acqua è già in mano ai privati.
Da due anni giace in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione delle reti idriche e della loro gestione, che ha raccolto più di 400.000 firme grazie a una capillare campagna di sensibilizzazione.
Si ritiri l'articolo 15 del decreto e si riparta da quella proposta.