Amnesty International ha accolto con favore la decisione del Parlamento europeo di conferire il premio Sakharov 2009 per i diritti umani a tre attivisti russi: Oleg Orlov, Sergei Kovalev e Lyudmila Alekseeva. Il premio è un riconoscimento all'importante lavoro che gli attivisti per i diritti umani stanno svolgendo in Russia, in un contesto eccezionalmente difficile. L'omicidio, nel luglio di quest'anno, di Natalia Estemirova, collega di Oleg Orlov e di Sergei Kovalev nell'organizzazione per i diritti umani Memorial, ne è uno dei più recenti tragici esempi.
Sergei Kovalev, chiamato "la coscienza della Russia", è un attivista per i diritti umani dalla fine degli anni Sessanta. Imprigionato nel 1974 e poi condannato all'esilio per aver denunciato le violazioni dei diritti umani durante l'era sovietica, è stato membro fondatore del gruppo di Amnesty International di Mosca.
Lyudmila Alekseeva, dissidente dagli anni Sessanta e attiva nella difesa dei prigionieri politici, è diventata nel 1986 presidente del Gruppo Helsinki di Mosca, la più antica organizzazione per i diritti umani in Russia.
"Il premio Sakharov è un importante riconoscimento per il nostro lavoro. Nonostante l'assenza dello stato di diritto sia così pesante, stiamo lottando per ottenere miglioramenti concreti. Ogni tanto, anche quando riusciamo a salvare qualche persona, ci sembra di aver fatto poco e ci sentiamo scoraggiati. Per questo, il premio di oggi è così tanto importante!" - ha dichiarato Oleg Orlov. "In passato confidavamo nel fatto che i riconoscimenti internazionali potessero proteggerci, tutelare la vita dei nostri collegi. Ma dopo l'assassinio di Anna Politkovskaya, temiamo che nessun premio e nessuna notorietà siano sufficienti a salvare la vita degli attivisti per i diritti umani in Russia".
Da 21 anni il Parlamento europeo conferisce il premio intitolato allo scienziato dissidente sovietico Andrei Sakharov a persone che hanno dedicato la loro vita a difendere i diritti umani e il riconoscimento reciproco. Tra i precedenti premiati figurano: il dissidente cinese Hu Jia, l'avvocato sudanese Mahmoud Osman, l'attivista cubano Oswaldo Payá e la premio Nobel birmana Aung San Suu Kyi.
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