E' il quadro che emerge dall'audizione presso la Commissione Lavoro e previdenza sociale del Senato nell'ambito della "Indagine conoscitiva sul livello dei redditi di lavoro e sulla redistribuzione della ricchezza in Italia nel periodo 1993-2008"
Salari netti fermi e prezzi in aumento. Con il fisco che ha mangiato i pochi guadagni di produttività. E' il quadro, impietoso, descritto dal segretario confederale della CGIL, Agostino Megale, in audizione oggi presso la Commissione Lavoro e previdenza sociale del Senato nell'ambito della "indagine conoscitiva sul livello dei redditi di lavoro e sulla redistribuzione della ricchezza in Italia nel periodo 1993-2008".
Il dato più significativo del quarto rapporto IRES CGIL cui fa riferimento Megale emerge dall'analisi dei salari nel periodo 1993-2008: elaborando i dati ISTAT nei passati 15 anni i lavoratori dipendenti hanno lasciato al fisco 6.738 euro cumulati (in termini di potere d'acquisto), poiché le retribuzioni nette sono cresciute 3,5 punti in meno (4,2 punti in meno per un lavoratore senza carichi familiari) delle retribuzioni di fatto lorde. Lo Stato ha dunque beneficiato di circa 112 miliardi di euro, tra maggiore pressione fiscale e fiscal drag.
Le retribuzioni contrattuali hanno sostanzialmente mantenuto il potere d'acquisto e le retribuzioni di fatto sono cresciute di 5,9 punti oltre l'inflazione. Purtroppo però i salari netti sono rimasti fermi. Quindici anni di crescita zero dei salari netti mentre i prezzi aumentavano. Il fisco dunque ha mangiato i pochi guadagni di produttività. Inoltre, nel corso dell'audizione, Megale ha sottolineato in particolare come dall'indagine Ires CGIL sulla distribuzione della ricchezza e del reddito emergano tre strutturali disuguaglianze sociali rispetto al salario netto mensile di un lavoratore dipendente standard pari a 1.240 euro (dati del 2008).
Rispetto a questa cifra una lavoratrice guadagna il 17,9% in meno, un lavoratore immigrato (extra Ue) -26,9% e addirittura -27,1% se riferito a un lavoratore tra giovane fino ai 34 anni. Differenze queste, ha sottolineato il dirigente sindacale, trasversali, al Nord come al Sud, e che attraversano tutti i tipi di settori. Un ulteriore importante elemento di disuguaglianza da sottolineare risiede nelle basse retribuzioni del Mezzogiorno.
Il segretario confederale della CGIL ha osservato come le retribuzioni siano, infatti, già differenziate da Nord a Sud. La retribuzione media annua lorda nel 2008 nel Nord Ovest è stata di 29.800 euro, al Nord Est di 28.900 euro, al Centro di 28.300 euro e nel Mezzogiorno di 24.500 euro. Il differenziale rispetto al Mezzogiorno è, quindi, al Nord Est di +21,63%, al Nord Est di +17,96% e al Centro di +15,51%. Così come l'inflazione che, seppur più alta al Nord rispetto al Sud, è cresciuta di più nel Mezzogiorno nel periodo tra il 2004 e il 2008 per un mezzo punto in più ogni anno. E all'interno di questa dinamica il paradosso sta nelle differenze tra le grandi città e i piccoli comuni nel Nord come nel Sud del paese.
Dal 2004 al 2008, infatti, se in Italia ogni anno l'inflazione è cresciuta del 2,1% emergono casi come Milano dove il costo della vita è cresciuto dell'1,9% e Como del +1,6%. Di contro a Palermo è cresciuta nello stesso periodo del 2,2% mentre a Trapani del 3,2%. Infine per Megale altra forte causa della disuguaglianza nella distribuzione del reddito sta nella dimensione di impresa.
La produttività nelle grandi imprese è esattamente il doppio di quella delle piccole imprese e la differenza tra la retribuzione del lavoratore della grande impresa e quello della piccola è di quasi 9mila euro, a favore del primo, a parità di condizioni e di costo del lavoro per unità di prodotto.