ITALIA 2020 Piano di azione per l'occupabilitá dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro
La nostra ambizione, il nostro impegno
Le persone prima di tutto, i nostri giovani prima di tutti. È questa la nostra ambizione. E questo è il nostro impegno per l'Italia del futuro. Per trasformare la recessione in una straordinaria opportunità di cambiamento, è dai giovani, dalle loro energie e dai loro talenti, che dobbiamo ripartire.
Con loro - e per loro - vogliamo costruire l'Italia del futuro. Una Italia più dinamica e competitiva perché dotata di forza lavoro motivata e competente. Con mercati del lavoro aperti e maggiormente inclusivi. Con minori barriere e divari culturali, geografici, generazionali e di genere. Se davvero siamo preoccupati per il futuro dei nostri giovani dobbiamo gettarci alle spalle la convinzione - ingannevole - che la qualità dei posti di lavoro dipenda semplicemente dalle riforme del mercato del lavoro. Se così fosse, la soluzione di problemi complessi, che interessano tanto le società industrializzate quanto i Paesi in via di sviluppo, sarebbe comodamente a portata di mano.
Dobbiamo invece spiegare ai giovani e alle loro famiglie che i processi di vero cambiamento non possono mai prescindere dall'impegno e dalla responsabilità personali. Che le riforme utili - quelle fatte e ancor di più quelle ancora da fare - non sostituiscono, ma semmai stimolano i buoni comportamenti delle persone e delle istituzioni offrendo continue opportunità per esaltare le responsabilità e le libertà di ciascuno.
Le prime responsabilità sono certamente nostre nella azione di governo e di indirizzo politico dei nostri rispettivi Ministeri. Siamo infatti fermamente convinti che il futuro occupazionale dei giovani italiani dipenda primariamente da un più efficiente raccordo e dalla integrazione tra i percorsi di istruzione e formazione rinnovati e il mercato del lavoro. Ministero dell'Istruzione dell'Università e Ricerca Ministero de Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.
Preparare i giovani di oggi ai mercati del lavoro di domani
Rispetto ai coetanei di altri Paesi i nostri giovani incontrano il lavoro in età troppo avanzata e, per di più, con conoscenze poco spendibili anche per l'assenza di un vero contatto con il mondo del lavoro in ragione del noto pregiudizio che vuole che chi studia non lavori e che chi lavora non studi.
Quasi del tutto assenti, nonostante gli sforzi compiuti in questi anni, sono moderni servizi di collocamento e orientamento al lavoro che possano agevolare una più celere transizione verso il mercato del lavoro consentendo altresì, alle istituzioni scolastiche e alle università, la continua riprogettazione e l'adattamento della offerta formativa e un costante contatto con il territorio in cui operano. È la marcata autoreferenzialità del sistema educativo di istruzione e di formazione che incide negativamente sulle prospettive occupazionali dei giovani.
È questa la principale ragione di un frequente intrappolamento ai margini del mercato del lavoro, con occupazioni e professionalità di bassa qualità, non di rado senza alcuna coerenza tra carriera scolastica e carriera lavorativa. Per contrastare questa autoreferenzialità delle istituzioni scolastiche e dei docenti è importante favorire una virtuosa competizione tra le scuole e, ancor più, tra le università affinché i giovani siano indotti a scegliere le sedi migliori, anche se più difficili, perché è qui che essi possono costruire delle solide premesse per il loro futuro.
Tale competizione risulta anche necessaria per premiare e sostenere i centri migliori, in una ottica di ottimizzazione delle risorse, per elevare fino a spingerli alla eccellenza i centri più deboli e in difficoltà, con appositi incentivi e percorsi di recupero e di sostegno. Nell'ambito di un nuovo e più integrato rapporto tra sistema formativo e mondo del lavoro si impone, dunque, una riflessione delicata, ma ineludibile su due temi prioritari: la mobilità degli studenti universitari e dell'alta formazione professionale, da un lato, e il valore legale del titolo di studio, dall'altro lato. Alla mobilità degli studenti si frappongono ostacoli di natura culturale, certamente, ma anche gravi ostacoli logistici e finanziari. Dobbiamo quindi investire sulla mobilità superando la logica della moltiplicazione delle sedi e offrendo una reale possibilità di scelta. In primo luogo, ampliando la disponibilità di borse di studio e residenze legate al merito. E predisponendo, poi, strumenti di finanziamento agli studenti che vogliono investire sul proprio futuro.
Infatti, gli studi superiori non sono un costo, ma un investimento, come dimostra tra l'altro il differenziale di reddito che la laurea e i diplomi professionali superiori garantiscono anche nel nostro Paese. Il valore legale dei titoli di studio, per converso, ha dimostrato di non poter garantire la qualità e la differenziazione dei percorsi formativi. Corsi dello stesso tipo e livello non assicurano una qualità adeguata delle conoscenze, delle abilità e delle competenze effettivamente acquisite dagli studenti che li concludono. Questo fatto rende molto difficile anche "sradicare i diplomifici" di scuola secondaria superiore e di laurea. Per questo, al valore legale del titolo deve gradualmente sostituirsi la logica dell'accreditamento dei corsi, valutati per la loro capacità di offrire una preparazione di alto livello qualitativo coerente con i bisogni della persona, della economia e della società. Solo così sarà possibile sostituire, a una certificazione puramente formale, il riconoscimento della qualità sostanziale dei corsi, attraverso la effettiva valorizzazione della autonomia didattica delle scuole e degli atenei. Le proiezioni al 2020 vedono l'Italia in una posizione di grave difficoltà, nel contesto internazionale e comparato, rispetto alle prospettive demografiche, occupazionali e di crescita. Si prevede, in particolare, una forte carenza di competenze elevate e intermedie legate ai nuovi lavori e un disallineamento complessivo della offerta formativa rispetto alle richieste del mercato del lavoro. I già precari equilibri del mercato del lavoro e del sistema previdenziale saranno sempre più messi in discussione dall'invecchiamento della popolazione e dagli squilibri territoriali che produrranno, anche nei prossimi anni, un aumento della pressione migratoria e un progressivo inurbamento. 3 Se non introdurremo correttivi persisteranno gli attuali alti livelli di dispersione scolastica e universitaria che, in un contesto demografico declinante, non possiamo più permetterci di tollerare. Sono queste le vere criticità che affliggono il nostro mercato del lavoro. E su di esse dobbiamo intervenire subito, senza ulteriori ritardi. Per procedere in questa direzione non occorre inventarci nulla di nuovo. Dobbiamo semmai portare a definitivo completamento, pezzo dopo pezzo, i processi di riforma già avviati anche nel nostro Paese nel decennio passato.
Ci riferiamo, in particolare, alla leggi Biagi e ai diversi interventi di riforma in atto della Scuola e della Università, ancora oggi largamente inesplorate nelle loro enormi potenzialità e accolte con spirito conservatore, se non ideologico, a causa di una concezione vecchia, ma assai radicata, dei modelli educativi di istruzione e di formazione. Una concezione lontana dalla realtà. Che porta ancora a vedere nella scuola e nel lavoro due mondi alternativi e inesorabilmente separati. Con la conseguenza di perpetuare artificiosamente una sequenza di sviluppo della persona che vuole dissociate le fasi dell'apprendimento e dello studio da quelle del lavoro e della partecipazione alla vita attiva.
Le nostre sei priorità per la piena occupabilità dei giovani
Per la piena occupabilità dei nostri giovani abbiamo individuato sei aree di intervento, che riteniamo prioritarie e che ci proponiamo di implementare rapidamente, secondo una visione integrata e con il concorso di tutti gli attori coinvolti, affidando il compito di impulso, coordinamento e monitoraggio a una "cabina di pilotaggio" condivisa.
(1) Facilitare la transizione dalla scuola al lavoro
La difficile transizione dal mondo dell'istruzione e della formazione a quello del lavoro è una delle principali criticità del nostro Paese evidenziata in tutti i benchmark internazionali. Esiste, innanzitutto, una questione di "tempi" della transizione che sono eccessivamente lunghi e che alimentano preoccupanti fenomeni di disoccupazione, anche intellettuale, di lunga durata. Allarmanti sono gli esiti della transizione: la percentuale di lavoratori con diploma o laurea che è utilizzata in maniera non coerente con i propri titoli di studio è la più alta d'Europa. Ancora troppi sono i giovani che, senza orientamento e sostegno da parte delle scuole e delle istituzioni, concentrano le loro scelte su percorsi formativi deboli che non potranno dare sbocchi sul mercato del lavoro. Una seconda questione attiene ai "modi" della transizione. La ricerca del lavoro avviene prevalentemente attraverso reti amicali e informali che, non di rado, operano ai limiti della legalità. Ancora bassa è la percentuale di lavoratori intermediata dai centri pubblici per l'impiego e dalle agenzie private abilitate a operare nel mercato del lavoro in funzione di precisi regimi autorizzatori o di accreditamento.
Poco e male presidiata è anche la transizione tra i vari gradi e ordini dei percorsi educativi di istruzione e di formazione che genera rilevanti fenomeni di abbandono e dispersione, anche per l'incapacità di orientare i giovani alla scelta di percorsi coerenti con le proprie attitudini e potenzialità. La riduzione dei tempi di transizione generazionale dalla scuola alla vita professionale e il contenimento dei fenomeni di job mismatch richiedono un insieme di interventi integrati e strutturati di politiche attive del lavoro che rendano più fluidi e trasparenti i meccanismi che regolano l'incontro tra domanda e 4 offerta di lavoro e che anticipino il contatto tra lo studente e l'impresa lungo tutto il percorso scolastico e formativo e quello universitario. È importante potenziare la rete degli operatori, autorizzati o accreditati, presenti sul mercato del lavoro, contrastare i canali informali che operano al di fuori del sistema, rilanciare la borsa continua nazionale del lavoro. Ancor più decisivo è che attività di orientamento al lavoro e di vero e proprio career service si sviluppino direttamente all'interno degli istituti scolastici e delle università come previsto dalla Legge Biagi, sfruttando a dovere la posizione privilegiata degli istituti di istruzione e formazione nell'indicare alle aziende i giovani in possesso del curriculum scolastico e universitario più adatto al profilo ricercato.
Nello stesso tempo, questa attività può rappresentare per le scuole e le università uno straordinario sensore della qualità e coerenza della loro offerta formativa rispetto alle richieste del tessuto produttivo circostante e degli studenti. Sono le scuole e le sedi universitarie a dover svolgere a livello istituzionale, e con il coinvolgimento attivo di tutti i docenti e delle famiglie, un ruolo insostituibile di "intermediazione" tra i giovani e la società formandoli e preparandoli adeguatamente all'inserimento nel mondo del lavoro. Moderne leve di placement possono essere, in questa prospettiva, i percorsi educativi di istruzione e formativi in alternanza scuola lavoro e, in questo contesto, particolarmente, in apprendistato che consentono, con esperienza pratica e in un assetto produttivo autentico, il conseguimento di un titolo di studio.
(2) Rilanciare l'istruzione tecnico-professionale
Un altro grave limite del nostro Paese nella competizione internazionale è rappresentato dalla mancanza di profili tecnici e professionali intermedi e superiori. Il deficit di tecnici intermedi è stimato in 180mila unità. Si assiste così al paradosso di imprese che non trovano la forza lavoro qualificata di cui hanno bisogno per competere sui mercati internazionali e di giovani in condizioni di disoccupazione o sotto-occupazione perché dotati di competenze che non servono al mercato del lavoro o che, comunque, risultano spendibili unicamente in settori e ambiti a bassa crescita occupazionale. L'istruzione tecnica rappresenta una opportunità per i giovani e per le imprese, ma soprattutto una necessità per il Paese. La ripresa economica non potrà prescindere dalla rinascita del settore manifatturiero e del made in Italy che sono storicamente collegati agli istituti tecnici.
Questa grave anomalia impone, per un verso, il potenziamento delle azioni di orientamento e, per l'altro verso, la riorganizzazione, il rilancio e la riqualificazione della istruzione tecnica, che va sviluppata sino a livello terziario con la costituzione degli istituti tecnici superiori nelle aree tecnologiche più strategiche per l'innovazione e la competitività, soprattutto delle piccole e medie imprese, anche mediante il ricorso all'apprendistato di alta formazione e, soprattutto, la costruzione di percorsi formativi e di istruzione tecnica e professionale nei luoghi di lavoro e in assetto lavorativo. Queste scelte contribuiranno a ridurre significativamente, da un lato, l'astrattezza della cultura scolastica e, dall'altro, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, migliorando l'occupabilità dei giovani e la permanenza nel mercato del lavoro degli adulti. L'istruzione tecnica richiede adattamento e miglioramento, ma è essenziale che il suo impianto e la sua identità siano riconoscibilmente distinte sia da quelle tipiche del filone liceale (liceo tecnologico compreso) sia da quelle che qualificano i percorsi graduali e continui dell'istruzione e formazione professionale. Questo naturalmente non esclude, ma anzi esige, allo stesso tempo, insieme alla loro massima non sovrapposizione, la più ampia integrazione possibile tra i sistemi.
La preoccupazione deve essere mantenuta particolarmente alta e viva soprattutto nei rapporti che devono intercorrere tra 5 percorsi di istruzione tecnica quinquennale, di istruzione professionale statale altrettanto quinquennale e di istruzione e formazione professionale regionale previsti ormai, in alcune Regioni, e distribuiti in una durata tra i tre e i sette anni. Senza questa accorta integrazione/distinzione dei percorsi della istruzione tecnica e della istruzione e formazione professionale, d'altra parte, la scommessa di una formazione professionale non universitaria post secondaria risulterebbe del tutto pregiudicata e un settore formativo che esiste in tutti i paesi del mondo non potrebbe mai vedere la luce e irrobustirsi come merita al servizio dei ragazzi e del Paese.
(3) Rilanciare il contratto di apprendistato
Come detto, l'apprendistato rappresenta in effetti un innovativo strumento di placement, fondato sulla integrazione tra sistema educativo e formativo e mercato del lavoro, che supera la vecchia, quanto artificiosa distinzione tra formazione "interna" e formazione "esterna" all'impresa e consente ai giovani un rapido e stabile ingresso nel mondo del lavoro.
(4) Ripensare l'utilizzo dei tirocini formativi, promuovere le esperienze di lavoro nel corso degli studi, educare alla sicurezza sul lavoro, costruire sin dalla scuola e dalla università la tutela pensionistica
Per lungo tempo hanno rappresentato - assieme ai contratti di formazione e lavoro e all'apprendistato - uno dei pochi canali di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Accanto a buone prassi si registrano, tuttavia, fenomeni di preoccupante degenerazione dei tirocini formativi e di orientamento che, non di rado, sono utilizzati come canale di reclutamento di forza lavoro a basso costo senza alcuna valenza formativa o anche solo di vero e proprio orientamento. Il loro utilizzo, pertanto, può e deve essere ripensato e rivalutato soprattutto alla luce della più recente evoluzione del quadro legale che ha previsto molteplici modalità di inserimento agevolato dei giovani nel mercato del lavoro. Il collegamento stabile tra la scuola e il mondo del lavoro, anche attraverso tirocini ed esperienze di lavoro, assume un ruolo decisivo per promuovere e sostenere lo sviluppo e la diffusione della cultura della prevenzione negli ambienti di vita, studio e lavoro.
In questa prospettiva l'educazione alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro può infatti assumere, nel complesso della programmazione didattica delle scuole dell'autonomia, una valenza concreta tale da consentire la sperimentazione di nuove metodologie a sostegno della sicurezza dei lavoratori al fine di garantirne una occupazione di qualità. Un contatto anticipato con il mondo del lavoro aiuta infine i giovani a comprendere in tempo utile l'importanza di costruire il proprio futuro pensionistico che non potrà non essere condizionato dal monte contributivo versato.
(5) Ripensare il ruolo della formazione universitaria
L'iscrizione di massa dei nostri diplomati alla università non risponde alle reali esigenze del mondo del lavoro e neppure alle prospettive di crescita degli stessi studenti che, in numero rilevante, abbandonano l'università già dopo il primo anno complicando con ciò i percorsi di transizione al mondo del lavoro. Sempre meno sono così i laureati che trovano una occupazione attinente alla formazione ricevuta. Più della metà dei laureati svolge un lavoro dove è richiesta genericamente una laurea o è sottooccupato in mansioni e compiti che non richiedono neppure la laurea. Più di una riflessione merita poi il fatto che la 6 maggior parte di coloro che ottengono la laurea di primo livello sceglie di proseguire gli studi nel biennio specialistico. Innanzitutto, occorre portare a compimento un percorso, già avviato, di semplificazione e riduzione del numero dei corsi di laurea triennale.
La loro finalità non è infatti quella di incanalare i giovani in percorsi precocemente specializzati e forzatamente professionalizzanti, ma di fornire basi ampie, solide, approfondite sulle quali ciascuno potrà innestare la propria vocazione particolare secondo le scelte di vita personali. Il titolo triennale deve garantire salde conoscenze di metodo e di contenuto, presupposto imprescindibile sia per chi decide di impegnarsi subito nel mondo del lavoro sia per chi prosegue negli studi Dobbiamo abbandonare la vecchia concezione del titolo di studio universitario come punto di arrivo unico e finale nella carriera e nella vita degli studenti e incentivare piuttosto le università a prevedere una offerta formativa coerente con l'idea di apprendimento lungo l'intero ciclo di vita con percorsi formativi e di approfondimento anche per chi è già entrato nel mondo del lavoro, in modo da valorizzare (anche in termini di investimento reciproco) il legame di appartenenza con la propria università. Secondo questa logica, si vuole incoraggiare anche la formazione interdisciplinare durante, e non solo dopo, i tradizionali anni universitari, permettendo anche la frequenza di corsi e lauree parallele, anche tra loro molto diverse.
(6) Aprire i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro
Le aziende italiane non conoscono e non utilizzano i dottorati di ricerca. Nei Paesi che primeggiano nella competizione internazionale le aziende utilizzano - e finanziano generosamente - i dottorati di ricerca quale straordinaria opportunità per innovare e crescere; per reclutare i migliori talenti e investire sulle competenze di eccellenza richieste dai nuovi mercati del lavoro. In Italia, per contro, il destino del dottore di ricerca è, nella migliore delle ipotesi, la carriera accademica. Occorre superare questa grave anomalia, che genera un vero e proprio circolo vizioso e priva il Paese di un rilevante bacino per sostenere la ricerca nel settore privato, per formare figure professionali strategiche per le imprese e le professioni, per dotare il Paese di una nuova classe dirigente.
Nel contesto di una rinnovata concezione della alta formazione universitaria e della ricerca, anche a sostegno della innovazione e della crescita del sistema produttivo e non solo nell'ottica limitata della carriera universitaria, assume una importanza strategica un ripensamento del dottorato di ricerca e del post-dottorato che devono drasticamente aprirsi verso il mercato del lavoro e quello delle professioni. È importante che il valore scientifico del dottorato sia alto e internazionalmente riconosciuto come tale, oltre che spendibile, ove serva, sul mercato del lavoro.
Il dottorato costituisce infatti il grado più alto di specializzazione offerto dalla università, sia per chi intende dedicarsi alla ricerca sia per chi desidera entrare nel mondo produttivo dotato di competenze e capacità progettuali e di ricerca di particolare peso.