Uno studio conferma che è più alto il rischio cancro al seno per le donne che abitano nella zona a più alta contaminazione. E risulta più alto il rischio di tumori linfatici e del sangue per coloro che abitano nei distretti limitrofi meno contaminati. In pericolo anche le persone nate da donne esposte.

I veleni dell'industria chimica che il 10 luglio 1976 si sparsero nell'abitato di Seveso, in Lombardia, sotto forma di una nera nube carica di diossine continuano a fare male alle popolazioni esposte al disastro ambientale, sia direttamente, sia indirettamente, per quanto riguarda i figli delle donne che abitavano i luoghi contaminati. Si registrano, infatti, più tumori tra queste persone rispetto alla media nazionale. È quanto afferma uno studio dei ricercatori della Fondazione Irccs Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena di Milano e diretto da Angela Pescatori e Pier Alberto Bertazzi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Environmental Health. I ricercatori hanno riscontrato che è più alto il rischio cancro al seno per le donne che abitano nella zona a più alta contaminazione da 2,3,7,8-Tetraclorodibenzo-p-diossina (Tcdd), la più pericolosa tra le diossine, classificata dall'OMS come carcinogeno di classe uno; così come risulta più alto il rischio di tumori linfatici e del sangue per tutti coloro che abitano nei distretti limitrofi anche meno contaminati.

A Seveso tutto iniziò con un incidente verificatosi nel confinante comune di Meda presso gli impianti chimici della società elvetica Icmesa (gruppo Givoudan-La Roche): alle 12 e 40 del 10 luglio di 33 anni fa un reattore dell'industria 'sputo'' una nube tossica. Da allora si cerca di far luce sulle 'ferite profonde' di quella tragedia e questo non è il primo studio a mettere allerta sui pericoli delle diossine sprigionate. Un recente lavoro di Andrea Baccarelli dell'Università di Milano ha dimostrato infatti che i bimbi nati da donne che vivevano nelle aree contaminate da diossina mostrano disfunzioni tiroidee con frequenza 6,6 volte maggiore dei coetanei figli di donne non esposte, che evidenzia una netta associazione tra esposizione materna a Tcdd ed alterazioni della funzione neonatale tiroidea in una ampia popolazione esposta dopo l'incidente di Seveso.

In questa nuova indagine, invece, gli esperti hanno misurato l'incidenza di vari tumori negli abitanti di tre zone variamente esposte alla TCDD. Hanno considerato tre zone di esposizione decrescente (concentrazioni decrescenti di Tcdd nel suolo) denominate 'A' (molto alta), B (alta), R (bassa), e una zona 'franca' dall'inquinamento, coprendo un periodo che va dal 1977 al 1996. È emerso che l'incidenza di cancro al seno è più alta nelle donne che abitavano la zona A durante l'incidente o vi sono nate o migrate dopo.
L'incidenza di tumori linfatici o del sangue è invece più alta sia nella zona A sia nella B per entrambi i sessi. Lo studio conferma che la diossina sparsa a Seveso è cancerogena e, concludono i ricercatori, a rischio sono non solo le persone direttamente esposte perché abitavano lì al momento dell'incidente, ma anche quelle arrivate dopo e i nati da donne esposte alla contaminazione.

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