Dalla fabbrica di dinamite per le cave alla pesca di paranza: in "Cronache operaie" di Paolo Lotti un viaggio nei lavori "sporchi" che curvano le schiene e imbrattano le mani, oggi svolti prevalentemente dagli immigrati ROMA - Dopo tanto parlare di call center, information society e generazione mille euro ecco un libro che tratta di vecchi lavori, di quelli che curvano la schiena e sporcano le mani. E che condannano chi è costretto a esercitarli non a una illimitata e involontaria giovinezza, ma a un precoce e sicuro logoramento.
Si intitola "Cronache operaie: racconti sui mestieri che gli italiani non fanno più" il volume di Paolo Lotti, appena dato alle stampe da Effequ, piccolo editore di Orbetello che da quattordici anni, come si legge nella presentazione del suo sito, "si occupa soprattutto di narrativa, romanzi e racconti sempre legati alle inquietudini degli uomini e ai loro lati oscuri". Quanto a Lotti, si definisce uomo dai molti mestieri: si considera un operaio e nella sua vita - si legge - ha fatto dal bancario all'artigiano, dal marittimo al giardiniere, dal muratore all'ortolano. Al centro dei tre racconti di Lotti, dunque, vi sono proprio quei mestieri "eterni" ma sempre più invisibili, oggi svolti prevalentemente da lavoratori immigrati.
Lavori che l'autore descrive, con precisione e a volte perfino con un qualche eccesso di zelo, in tutte le diverse fasi. Nonostante questo, però, il volume non risulta mai noioso: perché attraverso la descrizione dei ritmi della fabbrica di dinamite per le cave, delle fatiche e dei rischi della pesca di paranza e delle giornate sempre uguali e sempre diverse nell'allevamento ittico si apre una finestra sulle dinamiche feroci che si sviluppano intorno a certe basse manovalanze e che, col tempo, si ripercuotono sull'ambiente e sul paesaggio circostante. Nel racconto sull'azienda Rose & Fiori, chiamato semplicemente "L'allevamento", incontriamo un gruppo di operai alle prese con la produzione di anguille e di avannotti.
A fare da sfondo alle gesta di questi uomini, che non si lamentano mai e non sognano un futuro diverso, un territorio aspro e paludoso, nella brutta stagione umido e piovoso, in primavera e in estate infestato da nugoli di zanzare "di tutti i tipi, dimensioni, e cattiveria". Qui gli uomini combattono stoicamente la loro battaglia quotidiana confrontandosi con fatiche sempre uguali, ma anche con raccapriccianti imprevisti, come l'improvvisa moltiplicazione della colonia di topi che da sempre "bazzicavano" l'ambiente, attratti dall'abbondanza di scarti e detriti commestibili.
Sono uomini che obbediscono, con inconsapevole dedizione, alle leggi di un lavoro dove regole e contratti non contano granché e dove i diritti si trasformano in concessioni da concordare di volta in volta col padrone e col resto della squadra.
Insomma, si tratta di storie senza lieto fine: al termine del disincantato racconto di Lotti sull'allevamento ittico non vi è, infatti, la presa di coscienza di una classe operaia finalmente eletta in paradiso, ma la sua definitiva sconfitta. Per colpa, però, non dei tanti padroni che hanno approfittato della sua incrollabile tenacia, bensì di un turismo che con gli anni diventa "industriale, cattivo e arrogante".
E che prende tutto senza nulla dare in cambio al territorio, portando con sé un ottuso consumismo e gli effetti nefasti di un mercato immobiliare drogato che impedisce alle famiglie con un solo stipendio di vivere dignitosamente e ai giovani di "metter su famiglia in tempi naturali per la specie".

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