1 milione e 600 mila "nuovi italiani". Tanti sarebbero i cittadini stranieri potenzialmente interessati da una riforma della legge della cittadinanza che prendesse in considerazione il principio dello jus soli - si è cittadini italiani se si nasce sul suolo italiano - e dimezzasse da 10 a 5 gli anni di residenza necessari per poter richiedere la cittadinanza italiana. La stima è delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, che hanno avanzato la loro proposta davanti al presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, in apertura dell'Incontro nazionale di studi di Perugia intitolato Cittadini in-compiuti. Quale polis globale per il XXI secolo.

«È tempo di riconoscere la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati, ossia a quelle seconde generazioni che rappresentano il futuro del nostro Paese». Così il presidente delle Acli Andrea Olivero nella sua relazione di apertura. «Non si possono aspettare 10 anni di residenza per poter ottenere la cittadinanza, né appare più un segno di civiltà che un bambino nato in Italia da genitori stranieri debba attendere fino a 18 anni per poter diventare nostro connazionale. La riforma della cittadinanza diventa il banco di prova del modello di convivenza che vogliamo realizzare».

Le Acli chiedono dunque una profonda revisione della legge 91 del 1992 sulla cittadinanza. L'introduzione del principio dello jus soli conferirebbe la cittadinanza ai figli degli stranieri che nascono in Italia. Ad oggi sono 530mila. Il dimezzamento da 10 a 5 anni del tempo di residenza necessario per poter chiedere di diventare cittadino italiano interesserebbe invece oltre un milione di immigrati extracomunitari: 1.136.424. Il calcolo è stato fatto dall'Iref, l'istituto di ricerca delle Acli, tendendo conto che circa uno stranero su due, al 2006 (dati Istat), era in Italia da almeno 5 anni. Mettendo insieme i numeri si arriva a una stima di oltre 1 milione e 600 mila immigrati pronti a diventare, in base ai nuovi requisiti, cittadini italiani.

«Ma non è tanto un discorso di numeri né solo un problema di riduzione dei tempi - ha detto il presidente Olivero - Si tratta di costruire un percorso anche rigoroso ma chiaro e praticabile per l'ottenimento della cittadinanza, oggi di fatto soggetta alla discrezionalità delle autorità competenti». Basti pensare che a fronte di oltre 600mila stranieri residenti da più di 10 anni, le cittadinanze italiane concesse dal 1992 al 2007 sono state appena 261mila. 303mila ne sono state concesse in Francia solo nell'anno 2006-2007. «Quali che siano le condizioni poste dal legislatore o le competenze richieste - la conoscenza della lingua, la condivisione dei valori comuni fondamentali - esse debbono poter essere acquisite da parte dei cittadini immigrati in modo praticabile e riconosciute in modo certo e trasparente».

A chi vede un rischio nell'estensione della cittadinanza agli immigrati, Olivero risponde: «Il problema non sono gli stranieri, ma il riconoscimento dei valori comuni. La storia d'Italia è una storia di accoglienza, di inclusione e di accettazione delle differenze, pur tra luci e ombre ovviamente. Disconoscere questi valori significa disconoscere la storia e l'identità italiana, in particolare l'identità cristiana del nostro Paese». «La questione della cittadinanza agli immigrati - conclude Olivero nel suo intervento davanti al presidente della Camera Fini - ci offre un'occasione straordinaria per riscoprire l'amore per la patria comune, una patria fondata sulla credibilità delle istituzioni, sulla legalità, sulla giustizia, sul rispetto nell'agone politico e sull'accoglienza di chi bussa alle nostre porte. Questo ci scalda il cuore e ci fa sentire orgogliosamente italiani».

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