Nei giorni scorsi in vista delle elezioni del 20 agosto in Afghanistan, Amnesty International ha pubblicato un'agenda in 10 punti per il rispetto dei diritti umani, in cui chiede ai 38 candidati alla presidenza di impegnarsi a migliorare la disperata situazione del paese. "Molti cittadini afgani con cui abbiamo parlato hanno espresso rabbia e frustrazione nei confronti dell'apparente indifferenza del governo verso i diritti umani" - ha dichiarato Sam Zarifi, direttore del Programma Asia - Pacifico di Amnesty International. "Funzionari di governo e parlamentari sospettati di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani e crimini di guerra beneficiano di una sfacciata impunità. Molti altri, che si ritiene siano corrotti e coinvolti in attività criminali, raramente vengono chiamati a rispondere del proprio operato. Nel frattempo, la popolazione afgana subisce le conseguenze del malgoverno, della corruzione, di un sistema giudiziario debole e inefficiente, del mancato rispetto dei diritti umani e dell'assenza dello stato di diritto" - ha proseguito Zarifi.
Amnesty International ritiene che, nel momento in cui la popolazione afgana va incontro a un periodo di aumentata insicurezza, dare priorità ai diritti umani e allo stato di diritto possa contribuire a rafforzare la stabilità e la sicurezza in tutto il paese. "I candidati presidenziali possono iniziare ad affrontare la rabbia e la frustrazione della popolazione rendendo pubblico il proprio impegno a migliorare la situazione dei diritti umani. In questo modo la vita quotidiana dei cittadini potrebbe realmente cambiare e potrebbe essere avviato il percorso verso quella maggiore stabilità di cui c'è così tanto disperato bisogno" - ha concluso Zarifi. Le dieci raccomandazioni di Amnesty International sui diritti umani sono le seguenti: rispettare gli obblighi di diritto internazionale assunti dall'Afghanistan; riformare il sistema giudiziario e i meccanismi di applicazione della legge; porre fine agli arresti arbitrari, alle detenzioni illegali e alla tortura; combattere l'impunità per le passate violazioni dei diritti umani; garantire il diritto alla libertà di espressione, compresa la libertà di stampa; fornire assistenza agli sfollati interni e ai profughi che hanno fatto rientro nel paese; imporre una moratoria sulla pena di morte, con l'obiettivo di giungere alla sua abolizione; proteggere in modo concreto i diritti dei bambini; garantire i diritti delle donne nella legge e nella prassi; proteggere i civili che finiscono per essere coinvolti nel conflitto.
Tra attentati e minacce talebane - che hanno recapitato alla sede di Al Jazeera, un palazzetto nuovo ed elegante vicino al centro, i volantini in cui si afferma che la guerriglia taglierà i nasi, le orecchie e le dita di chi si recherà a votare - e un palpabile clima di tensione, l'antico e il ritorno di vecchi protagonisti della storia afgana hanno segnato l'ultimo scorcio della propaganda dei candidati - riporta Emanuele Giordana di Lettera22. Tra i "vecchi protagonosti" della scena politica afgana vi è l'ex signore della guerra, Generale col filosovietico Najibullah e ministro con Karzai, Abdul Rashid Dostum. "Il suo sostegno, e cioè il pacchetto di voti della regione trucofona del Nord, non è di poco conto e gli si può dunque perdonare di avere sul groppone un mandato per omicidio che lo aveva costretto a un breve esilio in Turchia. Dostum riveste comunque la carica - ancorché abbastanza simbolica - di capo di stato maggiore delle forze armate, possiede media e una milizia fedelissima oltre a un fortissimo potere sulle aree attorno a Mazar-i-Sharif, suo feudo personale. La "casetta" di Kabul è un palazzone con una parabola grande quanto quelle della Nato, sorvegliata da un manipolo di miliziani che tengono lontani curiosi e giornalisti. E' chiaro che solo il presidente poteva far cestinare o sospendere le accuse contro di lui ed è dunque scontato il suo appoggio a Karzai che spera di farcela al primo turno. Ma non è l'unico ritorno old style" - aggiunge Giordana
"Il suo sfidante più pericoloso, Abdullah Abdullah, che nelle ultime settimane è cresciuto vertiginosamente nei sondaggi, si è giocato la campagna facendo ricorso alla retorica dell'eroe del Panjshir, quell'Ahmad Shah Massud il cui viso, con quello di Karzai, campeggia nello stadio nazionale dopo essere stato santificato come eroe nazionale. E infatti Abdullah ha chiuso la campagna elettorale proprio nello stadio di Kabul, quello in cui i talebani facevano i loro perfidi esercizi di sharia, in qualche modo - e certo con una scelta molto controversa sul piano della propaganda - rivendicati nei truculenti manifestini anti elettorali sparsi soprattutto nella campagne del Sud. Su un altro fronte riappare anche un'altra vecchia conoscenza: Gulbuddin Hekmatyar (anche lui con una sfilza di prefissi "ex" all'attivo), ex primo ministro afgano quando i mujaheddin conquistarono Kabul e fondatore del partito islamista Hezb-e Islami. Hekmatyar che si è alleato con tutti e contro tutti. Dice di essere disposto ad "aiutare" la coalizione internazionale nel caso in cui si stabilisse una data per il ritiro delle truppe straniere dall'Afghanistan. Un vecchio refrain e non del tutto inascoltato se è vero che con Hekmatyar, alleato "tattico" dei talebani, già da tempo parlano gli emissari di Karzai".
Intanto il rischio di brogli appare molto forte - segnala sempre Emanuele Giordana. "Schede di voto comprate per un pugno di dollari o scambiate con tessere telefoniche. Soldi pubblici utilizzati per la campagna elettorale. Intimidazioni e boicottaggio nei confronti dei rivali più deboli e "patti segreti" con i più forti. Milizie "realiste" a presidiare i seggi. Con la cornice di seggi elettorali che andranno deserti per problemi di sicurezza e dunque si presteranno a brogli e frodi". Se Hamid Karzai, il presidente uscente, cerca la sua seconda rielezione "è proprio lui, coadiuvato da famigliari e consiglieri, una delle zone grigie più controverse di queste elezioni" - nota Giordana. Gli attacchi più violenti glieli ha riservati la stampa britannica e il frasario assai poco diplomatico di uno dei suoi maggiori rivali, Ashraf Ghani, che Karzai avrebbe cercato di "comprare" promettendogli un super premierato nel suo gabinetto, e che ha accusato il presidente di aver fatto dell'Afghanistan lo stato più fallito e corrotto del pianeta. "Così corrotto che adesso Karzai, attraverso intermediari che si rivolgono direttamente ai contadini poveri delle aree più a rischio, quelle del Sud dove infuria la guerra, comprerebbe le schede elettorali per poco più di venti euro o addirittura in cambio di tessere telefoniche per il cellulare. La compravendita di voti non è una novità (in Afghanistan come altrove) ma il Times di Londra ha puntato il dito direttamente su Wali Karzai e su Sher Mohammad Akhundzada, ex governatore della provincia di Helmand, un uomo che, come il fratello del presidente, è stato sempre molto chiacchierato anche in relazione al narcotraffico".
Un funzionario internazionale che lavora in Afghanistan spiega a Lettera22 che "la preoccupazione è in termini di conteggi: a causa dell'insicurezza, una serie di seggi nelle aree a rischio potrebbero non vedere alcun votante...dunque, il rischio che in questi casi si maneggi il voto potrebbe essere reale".
A Kandahar del resto, il capo della polizia ha dichiarato che non può garantire la sicurezza in tutti i seggi motivo per il quale il presidente ha decretato la possibilità che questa garanzia venga offerta da "milizie private". Ma chi garantirà la loro imparzialità? - conclude Giordana. [GB]