In questi giorni l'Aquila è diventata un deserto. Chi ha potuto se ne è andato. La vita nelle tendopoli, già piena di disagi, con il G8 è diventata impossibile. Gli esercizi pubblici, su consiglio delle forze dell'ordine, hanno quasi tutti chiuso. Ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono state imposte le ferie forzate.
Il progetto di Berlusconi di far diventare questo incontro tra i Grandi della Terra un megaspot per il suo governo si è infranto contro una realtà molto diversa, perché gli aquilani hanno ormai ben chiaro ciò che sta succedendo.
L'aiuto umanitario non è neutrale. Può essere orientato alla valorizzazione delle energie locali e alla partecipazione, ma può anche essere usato come strumento per favorire passività e dipendenza.
Dei piani per la ricostruzione, se esistono, gli aquilani sono all'oscuro. Gli amministratori locali hanno già espresso la propria contrarietà a quel poco di cui hanno avuto notizia. Gli interventi sono tutti impostati alla relazione fra privati, accentuando la solitudine di chi non può permettersi di intervenire direttamente sulla propria casa, per la gravità dei danni o perché il reddito non lo consente.
La ricostruzione poteva essere l'occasione per un processo partecipativo teso a ridisegnare la città secondo criteri che favorissero la socialità, la sostenibilità ambientale, la coesione comunitaria. Esattamente come andrebbe fatto per il mondo dopo la crisi. Sta avvenendo il contrario, in una situazione di incertezza che distrugge l'animo e in un clima di militarizzazione ogni giorno più pesante.
La gente aquilana che lascia la città è la più forte manifestazione di dissenso che si potesse immaginare, con il segno tragico che porta con sé. È assai probabile che non ce la faranno vedere, e ognuno di noi ha il dovere di raccontarla.
Quelli che rimangono, stanno trovando il modo di far sentire la propria voce in modo dignitoso, pacifico, così come hanno fatto nella manifestazione sotto palazzo Chigi o nella intensa fiaccolata di domenica scorsa.
È un periodo in cui le persone percepiscono una distanza enorme dalla politica, anche dalle forze progressiste, che sembrano aver dimenticato che la loro sola forza risiede nella condivisione della vita quotidiana delle comunità locali.
Le rappresentazioni simboliche di conflitto agite sulla testa, o senza il consenso, delle popolazioni che si vuole difendere non colgono nel segno. Gli aquilani vogliono affermare il loro inalienabile diritto a rappresentarsi da sé. Questa esigenza va rispettata e sostenuta, con spirito di servizio e di solidarietà, in questi giorni assurdi e in tutti quelli che verranno poi.