di Benedetta Verrini
Anticipazioni. Il non profit garantisce in Italia oltre la metà della ricerca scientifica. E permette a centinaia di scienziati di conseguire risultati. In edicola con VITA il nuovo STUDIUM
Hanno dato speranze di vita e di cura a milioni di malati. Supportano la metà - spesso anche tre quarti - della ricerca scientifica in Italia. Offrono spazio e risorse agli scienziati più promettenti prima che Paesi stranieri ce li portino via. Sono le grandi realtà del non profit italiano dedicate alla ricerca scientifica, dalla storica Airc (che nel 2005 festeggia 40 anni di attività), passando per molte altre sigle famose, fino al Comitato Telethon, che una volta all'anno entra nelle case degli italiani con la maratona tv più famosa al mondo.
Di questa realtà che "resiste" in un'Italia che spende per la ricerca appena l'1,2% del Pil (contro il 2,6 degli Usa e il 2 della media Ue), si parla il lunedì 3 ottobre, in un convegno organizzato a Milano dall'Agenzia per le onlus, dal titolo Terzo settore, risorsa per la ricerca scientifica italiana. L'Authority presieduta da Lorenzo Ornaghi ha colto l'occasione di confrontarsi direttamente con due ministri, Letizia Moratti e Giulio Tremonti, per parlare della necessità di rafforzare il settore e superare alcune norme discriminanti che ancora lo penalizzano.
In Italia, in generale, la ricerca scientifica procede tra mille difficoltà e ingegnose sopravvivenze. Ad esempio: se negli Stati Uniti il finanziamento di un progetto significa ottenere risorse sufficienti per la creazione di un'infrastruttura, l'uso di laboratorio e strumentazioni, l'assunzione di personale dedicato e gli stipendi dello staff di "cervelli", in Italia una ricerca, anche ambiziosa, può svilupparsi solo ottimizzando e "assemblando" faticosamente differenti risorse (in una struttura pubblica ma con strumentazioni donate dal non profit, e con personale e scienziati stipendiati attraverso canali pubblici e privati).
«Diciamo che i ricercatori italiani hanno dovuto, per forza di cose, sviluppare un "talento accessorio" nel reperimento di fondi», riassume con una battuta il professor Marco Vignetti, ematologo all'università La Sapienza e referente scientifico per le attività di ricerca clinica di Ail. «I fondi pubblici», prosegue Vignetti, «sono purtroppo lontanissimi dall'essere sufficienti a fare ricerca. Per questo l'apporto di grandi realtà del non profit è indispensabile per procedere quotidianamente e portare avanti i progetti. Queste risorse, poi, hanno un grande valore aggiunto: provengono dalla società civile e la coinvolgono direttamente, sensibilizzandola sui grandi temi delle malattie e della prevenzione. Inoltre, nel campo della ricerca clinica, ad esempio quella sui farmaci, il non profit permette di realizzare preziose sperimentazioni indipendenti, non finalizzate agli interessi delle case farmaceutiche».
Guai se le grandi associazioni non "sposassero" i progetti di ricerca che meritano di andare avanti, sottolinea ancora Vignetti, perché l'impatto delle procedure per accedere ai fondi europei è ormai diventato gravosissimo per i ricercatori.
La rendicontazione quasi maniacale richiesta dalla Ue, seppur con finalità più che condivisibili, rende l'avvio di un progetto un'impresa quasi titanica.
La vita del ricercatore in Italia è così dura che quasi tutti "migrano" verso altri lidi. Lo dicono le statistiche: il nostro Paese "vanta" 2,82 scienziati ogni mille lavoratori (ce ne sono di più in Repubblica Ceca, in Polonia e in Grecia, che ci superano nella classifica mondiale...). E sono numerose anche le discrasie legislative che complicano la vita alle realtà non profit che cercano di premiarli: «La legge 460/1997», spiega Angelo Maramai, direttore amministrativo e finanziario di Telethon, «ci impone, se vogliamo restare onlus, di non dare ai nostri ricercatori salari più elevati del 20% rispetto al minimo stabilito nei contratti collettivi. Superare questo limite, per una onlus, è infatti considerato una forma di distribuzione degli utili. Ma come possiamo offrire a un "cervello", a un ricercatore di primissimo piano, uno stipendio annuale pari a 35mila euro, quando all'estero potrebbe ricevere quattro volte tanto?».
Il quadro normativo, per le onlus della ricerca, si complica ulteriormente se si pensa alla marea di ulteriori "orpelli" normativi contro cui si trovano a combattere quotidianamente: dalla discriminazione tra fondazioni di ricerca, che possono essere onlus, e associazioni, che non possono esserlo (di qui lo "sdoppiamento giuridico" di tante realtà che operano nella ricerca: da un lato le onlus che fanno la raccolta fondi, dall'altro le fondazioni che gestiscono le attività di ricerca). E poi, il percorso accidentato a livello fiscale e di politiche di sostegno: «Siamo costretti a pagare l'Iva sull'acquisto di strumentazioni e apparecchiature costosissime e ad altissima tecnologia», commenta il professor Mario Alberto Battaglia, presidente di Aism e Fism, «quando gli altri Paesi sollevano le grandi realtà della ricerca da questo esborso perché, alla fine, equivale a un'assurda sottrazione di denaro alla comunità. Per non parlare delle spese postali: all'estero la spedizione di materiali presso i sostenitori per fare raccolta fondi è senza oneri. Se fosse così anche in Italia, i fondi per la ricerca risulterebbero quasi raddoppiati».
«è diventato sempre più gravoso "rincorrere" le tante legislazioni approvate senza tenere conto dell'esistenza, e del valore sociale, delle realtà della ricerca non profit», commenta Maurizio Savi, direttore generale Airc. «Credo che sia arrivato il momento di riconoscere il peso di questa realtà, che dovrebbe essere sostenuta attraverso un riconoscimento globale e definitivo, che le renda la vita più facile in tutti gli ambiti di attività, indipendentemente dalla veste giuridica. Questo sostegno dovrebbe arrivare anche sul piano fiscale, con un riconoscimento della piena deducibilità delle donazioni». Il ministro Tremonti, nei giorni scorsi, ha rilanciato l'ipotesi - salutata con un generale favore - di un 8 per mille dello Stato dedicato alla ricerca. «Una proposta interessante», commenta Furio Gramatica, della segreteria scientifica della Don Gnocchi. «Credo, però, che dovrebbe essere accompagnata da una certa chiarezza sui motivi per cui non ci sono soldi per la ricerca».
Vita, 30 settembre 2005