In Romania la condizione dell'infanzia in difficoltà familiare negli ultimi due anni è peggiorata. Con oltre 80mila minori sotto protezione statale e 40mila ancora in istituto, il Paese sta vivendo il fenomeno degli "orfani da migrazione": un'intera generazione di bambini affidata alle cure di parenti lontani e vicini di casa dai genitori che si trasferiscono all'estero in cerca di un lavoro.
I 350mila "orfani da migrazione" stimati dall'Unicef sono un dato approssimativo. Appena il 7 per cento di chi va all'estero lo dichiara al Comune, come vorrebbe la legge rumena. In questo modo i figli restano senza tutela legale: un problema, se devono iscriversi a scuola o essere ricoverati in ospedale.

Il fenomeno si è evidentemente accentuato con l'ingresso della Romania nell'Unione Europea. Con l'apertura delle frontiere europee migliaia di nuclei familiari si sono spezzati, i genitori hanno deciso di lasciare i loro figli in Romania, esponendoli così a una serie di rischi.
Per conoscere più da vicino questa realtà ne abbiamo parlato con Simona Carobone, membro del Comitato Italiano di associazioni che lavorano in Romania (C.I.A.O.)

- Ci conferma ciò che noi affermiamo ormai da tempo; in Romania stenta a decollare una cultura dell'accoglienza familiare?
La realtà dell'adozione nazionale nel Paese in questi anni ha fatto solo qualche debole passo in avanti, ma non può certo soddisfare le esigenze di migliaia di bambini in istituto. E' vero, in Romania manca una cultura dell'accoglienza familiare. Il programma dell'affido familiare, ad esempio, ha permesso la chiusura degli istituti più vecchi e fatiscenti, ma non si è basato sulla sensibilizzazione delle famiglie bensì sul pagamento di "assistenti maternali", ovvero figure professionali che ricevano un assegno statale per occuparsi dei minori abbandonati. Per sbarcare il lunario, le assistenti maternali decidono di tenere con sé fino a quattro bambini pur di mantenersi. Insomma, da un lato in Romania si è lavorato sulla de-istituzionalizzazione dei minori affidandole alle "assistenti maternali", ma dall'altro non si è investito sulla cultura dell'adozione. Si lavora sempre sull'emergenza, senza fare promozione né vera cultura rispetto a quelle che sono le responsabilità familiari.

- Il Comitato ONU per i diritti dell'infanzia ha fatto una raccomandazione al Governo di Bucarest, lo scorso 12 giugno 2009, in cui ha chiesto di rivedere la legge sulla "moratoria delle adozioni internazionali". Come valuta questa presa di posizione?
Purtroppo la Romania ha chiuso la porta alle coppie straniere senza avere una reale capacità di garantire una famiglia agli orfani o ai minori abbandonati. Spero che queste Raccomandazioni abbiano un seguito. Penso sia importante fare pressione sul governo di Bucarest per tentare di cambiare la situazione.

- In che modo?
Anche sul fronte della prevenzione. E' amaro dover ammettere l'isolamento in cui vivono le associazioni per la tutela dell'infanzia operanti nel Paese. Si é disinvestito sui progetti di prevenzione dell'abbandono minorile, ad esempio quelli rivolti alle madri in difficoltà; il risultato è che il numero degli abbandoni minorili è cresciuto. A fine anni Novanta, eravamo riusciti a dare il nostro contribuito per arginare il numero degli abbandoni minorili realizzando corsi di alfabetizzazione, formazione professionale e dando sostegno psicologico alle madri nei reparti degli Ospedali. Purtroppo oggi manca una politica nazionale capace di pianificare e promuovere questi interventi, per le associazioni diventa sempre più difficile lavorare in maniera pianificata e integrata sui bisogni dell'infanzia. Si lavora solo quando le emergenze sono conclamate, quando non si può più fare niente.

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