Il no dell'INAIL a riconoscere l'attribuzione di una rendita alla convivente di un uomo vittima di un infortunio sul lavoro è un aspetto previsto dal diritto nazionale che non rientra nell'applicazione delle normative comunitarie: così la Corte Ue del Lussemburgo si è espressa in merita al caso sollevato davanti ai giudici europei dal Tribunale di Milano.
Una signora, cittadina italiana, dopo aver vissuto dieci anni more uxorio con un uomo poi rimasto vittima di un infortunio sul lavoro, non ha ottenuto dall'INAIL la rendita del 50% prevista normalmente per il coniuge, mentre il figlio nato da quell'unione ha ottenuto il 20% della retribuzione.
Per la normativa italiana i figli minori sono tutelati anche quando sono "naturali, riconosciuti e adottivi e non solo legittimi", mentre si fa esplicito riferimento al coniuge e non al convivente. Nella sostanza, si spiega, il diritto comunitario non consente di risolvere eventuali lacune del diritto interno.
Laddove la normativa italiana stabilisce di attribuire solo al coniuge e non al convivente more uxorio la possibilità di una rendita non è contraria al diritto comunitario essendo applicata così per tutti i cittadini.
Per i giudici europei infatti diverso è il caso, per esempio, di una precedente sentenza su una persona residente in Germania perché la legge tedesca prevede "l'unione solidale con persone dello stesso sesso" e, quindi, la Corte Ue aveva giudicato discriminatorio non prevedere per i superstiti prestazioni equivalenti a quelle di un coniuge.

 

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