(Milano) Il numero dei minori fuori famiglia cresce in maniera preoccupante: ogni anno sarebbero quasi 1000 i bambini e adolescenti che in Italia sono costretti a vivere fuori dal loro contesto familiare. I dati forniti dal Ministero della Salute e delle Politiche Sociali parlano chiaro: dal 1999 al 2007 si è registrato un aumento di 6mila unità per un totale di 31mila minori fuori famiglia.
La situazione è talmente critica che gli strumenti per garantire un'accoglienza familiare sembrano del tutto inadeguati. E' fallita la promozione dell'affido familiare, disciplinata dal I articolo della legge 149/2001. Più della metà dei 31mila minori, infatti, sono ospiti di strutture residenziali in cui non è possibile sviluppare il legame e la relazione affettiva che può invece offrire una famiglia affidataria. L'applicazione della legge si è concentrata quasi esclusivamente sulla chiusura degli istituti, che in alcuni casi è diventata una semplice riconversione delle strutture (sui quali peraltro è in programma un piano di controlli e verifiche da parte del Ministero della Salute e delle Politiche Sociali).
Il fallimento dell'affido è dovuto a una concezione distorta dello stesso. Il settore pubblico tende a considerarlo esclusivamente come un servizio, mentre l'affido è, per sua stessa natura, una forma di accoglienza e cura più vicina alla dimensione del dono. I genitori affidatari si mettono, infatti, a servizio del minore accolto, coinvolgendo la rete familiare primaria (nonni, zii, fratelli) e una rete secondaria (famiglie amiche, associazioni, volontari).
L'affido deve essere quindi valorizzato. Per questo Ai.Bi. chiede una nuova legge che riconosca la gestione dell'affido da parte delle associazioni familiari. "Occorre mettere finalmente al centro la famiglia come unica risorsa per i bambini in difficoltà - ha detto Cristina Pellini, membro del Consiglio direttivo di Ai.Bi. con delega all'affido familiare - La collaborazione tra pubblico e privato sociale non ha portato ai risultati che speravamo; per questo occorre dare più spazio alle associazioni nella gestione di questo importante strumento di accoglienza. Non si tratta di escludere il servizio pubblico dalla gestione dell'affido, che ha comunque un ruolo di garante per la tutela del minore, ma valorizzare le associazioni familiari per il know how che hanno sviluppato."
Una richiesta che non pare affatto azzardata, se si considerano i dati di un'altra forma di accoglienza familiare: l'adozione internazionale. "Anche per l'adozione internazionale c'è un netto contrasto tra i risultati della gestione pubblica e quella del privato sociale. - ha detto Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. - Se prendiamo il caso della regione Piemonte si capisce bene la differenza tra un modello e l'altro. Le adozioni concluse dagli enti autorizzati sono ben maggiori rispetto a quelle della A.R.A.I., ovvero l'unico ente regionale che si occupa di adozioni( appena 8 adozioni concluse nel primo semestre del 2008 contro le 76 realizzate dagli enti).
L'efficienza del privato sociale è indubbiamente più alta rispetto a quella del pubblico. Così come sono più elevati i costi del pubblico, rispetto a quelli proposti dagli enti."