Ogni anno oltre 30mila minori stranieri arrivano in Italia grazie ai cosiddetti soggiorni solidaristici: programmi nati dopo il disastro di Chernobyl per dare la possibilità ai bambini provenienti dall'area colpita dall'incidente nucleare di trascorrere alcuni mesi nel nostro paese con famiglie disponibili ad accogliergli. Ad oggi i soggiorni solidaristici presentano aspetti problematici irrisolti che vanno ben oltre la spinta volontaristica da cui erano nati a fine anni Ottanta.
La mancanza di una preparazione delle famiglie che accolgono i minori, la confusione tra i minori che vivono in istituto e quelli che invece hanno alle spalle una famiglia, l'inesistenza di un albo delle associazioni che promuovono i soggiorni solidaristici sono i punti caldi della gestione dei questi programmi.
In più occasioni Amici dei Bambini aveva puntato il dito contro un sistema che provoca gravi danni nei bambini abbandonati che nel loro paese vivono in orfanotrofio e, per poche settimane l'anno, conoscono l'affetto di una famiglia. Per questo l'associazione aveva chiesto al Comitato minori stranieri di escludere i bambini che vivono in istituto dai soggiorni solidaristici per garantire loro la certezza di una famiglia per sempre, non solo per qualche mese l'anno. Tuttavia la questione della regolamentazione rimane ancora una proposta dai contorni incerti. Ne abbiamo parlato con Raffaele Iosa, presidente della federazione Avib - Associazioni di volontariato italiane in Bielorussia, realtà che conta una trentina di associazioni e rappresenta 10mila famiglie italiane.
Il Ministro Frattini ha parlato in Commissione Bicamerale Infanzia di una cooperazione efficiente tra Italia e Bielorussia in materia di soggiorni solidaristici. Cosa ne pensa?
Penso che oramai i soggiorni solidaristici, così come sono regolamentati oggi, rappresentino una forma di accoglienza superata. Oggi è necessario lavorare su altri fronti. Il presidente della Repubblica Lukashenko ha detto che entro cinque anni saranno chiusi tutti gli orfanotrofi del Paese. Con le associazioni di Avib stiamo lavorando a un nuovo progetto per sostenere l'accoglienza dei minori che usciranno dagli internat, aiutando ad esempio le famiglie bielorusse ad adottare i bambini abbandonati e orfani. Si può mettere a frutto l'esperienza e la disponibilità delle famiglie italiane che ospitano i bambini durante i soggiorni per aiutare le coppie bielorusse ad adottare. Magari prevedendo un sostegno economico alle famiglie più disagiate o creando borse di studio per i minori che altrimenti non andrebbero a scuola.
L'accoglienza temporanea dei minori stranieri rimane un tema poco definito. Quali le nuove proposte di Avib?Occorre gestire i soggiorni solidaristici in modo diverso. Oggi non possiamo più continuare a ospitare i minori come si faceva a fine degli anni Ottanta, basandoci sulla generosità di un gruppo di famiglie e di alcune associazioni di volontariato. Penso, ad esempio, alla nascita di un nuovo istituto giuridico come l'affido internazionale, in grado di garantire modalità chiare per l'accoglienza dei minori stranieri in Italia per un periodo limitato di tempo. In questo modo si potrebbe rispondere a un fenomeno nuovo, nato negli ultimi mesi in maniera del tutto spontanea, una sorta di "migrazione elettiva", con cui i maggiorenni bielorussi arrivano in Italia per cercare un'occupazione o terminare gli studi, grazie all'aiuto delle famiglie che hanno già conosciuto durante i soggiorni solidaristici. E' un nuovo ambito che deve essere regolamentato.
Come ha evidenziato il caso della bambina bielorussa Vika, ospite della famiglia di Cogoleto, esistono delle lacune nel sistema dei soggiorni, di cui sono vittima innanzitutto i bambini abbandonati, potenzialmente adottabili. Come valuta questo aspetto?Il problema è che non si possono considerare i soggiorni solidaristici un canale parallelo alle adozioni internazionali, come è avvenuto per troppo tempo. Sono convinto che per i bambini degli internat debba essere realizzato un percorso che garantisca il diritto alla famiglia, tuttavia fino al momento in cui questo non è possibile i programmi solidaristici consentono di conoscere l'affetto di un ambiente familiare. Mi riferisco a una concezione di "famiglia feconda" in cui le persone e gli amici che accolgono il bambino in Italia diventano un punto di riferimento su cui il bambino abbandonato sa di poter contare.