Caritas, dopo l'attacco terrestre israeliano nella Striscia di Gaza, partito lo scorso 3 gennaio, intensifica gli sforzi per soccorrere le vittime e fa sue le parole indirizzate, lo scorso 8 gennaio, da
papa Benedetto XVIai membri del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede: «Siano rilanciati i negoziati di pace rinunciando all'odio, alle provocazioni e all'uso delle armi».
Intanto però si continua a combattere e
uno dei sei Centri sanitari della Caritas, nel distretto Al Maghazi a Gaza, è stato distrutto dai bombardamenti. La situazione è sempre più difficile: sono quasi finite le scorte di medicinali, cibo e coperte, mentre la possibilità di portare aiuti umanitari resta estremamente complessa.
La
rete Caritas cerca di proseguire gli interventi in atto approfittando delle ore di tregua. Lo staff di Caritas Gerusalemme, aiutato da gruppi di volontari, lavora senza riposo, in piena emergenza per dare sostegno a circa 25.000 persone, alloggiate in locali di fortuna nel quartiere di Shati camp, nella periferia di Gaza. Le loro case sono distrutte, manca il pane perché in gran parte delle panetterie i forni non funzionano, di notte fa freddo, il sistema fognario è gravemente danneggiato, le immondizie si accumulano, l'aria è resa irrespirabile dalla polvere e dai bombardamenti. I servizi sanitari sono ovviamente al collasso, bambini, disabili, donne incinte restano privi di assistenza.
Tramite la rete internazionale la
Caritas ha lanciato un appello per 1,6 milioni di euro per aiuti d'urgenza per 4 mesi. In particolare, oltre ad aiuti alimentari per 4.000 famiglie, si prevedono interventi sanitari anche con cliniche mobili e ambulanze a sostegno di 4 ospedali a Gaza, kit con prodotti per l'igiene e aiuti economici per 2.000 famiglie, coperte per 1.000 famiglie e assistenza sanitaria d'urgenza a 1600 persone, fra cui un centinaio di mutilati.