Nelle cancellerie dei tribunali per i minori la fila si allunga e la montagna cresce. Pratica su pratica, storia su storia, documenti su documenti. Quindicimila domande di adozione nel 2005, sedicimila nel 2006 ventimila, un numero enorme nel 2007, ancora di più nel 2008, l'anno che sta per chiudersi. Ventimila richieste, poco più di quattromila i piccoli adottati. La statistica è di uno a cinque, per gli altri ciò che resta è attesa, desiderio, sogno mancato: pochi ce la fanno, i più rinunciano, sconfitti da un intrico di lentezze burocratiche, attese infinite, Paesi che d'un tratto chiudono le frontiere, enti inaffidabili, accordi bilaterali inesistenti, politica estera pigra, leggi da riscrivere.
Nell'Italia delle "nuove famiglie", dove i figli arrivano da un altrove a volte lontano e a volte vicinissimo,occuparsi di adozioni sia nazionali che internazionali vuol dire fare un viaggio in un paradosso, dove il bisogno e l'offerta d'amore sembrano non potersi incontrare, un incredibile serbatoio affettivo viene buttato via, e il nostro Paese da questo osservatorio appare come una nazione bloccata, non "competitiva all'esterno e ferma all'interno. Soltanto un bimbo su cinque, nel 2007, ha trovato genitori, amore e casa, e soltanto una coppia su cinque è riuscita ad abbracciare un nuovo figlio. Per ventidue bambine cinesi che all'inizio del 2009 entreranno, felicemente, nel nostro
Paese, ci sono 600 minori bielorussi bloccati nei loro internat. Può accadere infatti, ed è già accaduto con la Romania, che nel percorso a ostacoli dell'adozione quel bimbo già conosciuto e di certo già amato, d'un tratto diventi ostaggio di giochi politici, di prove di forza tra Paesi, e il suo destino resti impigliato nel futuro "senza", nell'avvenire spesso opaco di chi cresce senza mamma e papà.
Eppure in gran parte del mondo gli orfanotrofi sono pieni, i numeri dell'infanzia abbandonata crescono, e anche in Italia esiste un congruo numero di minori in istituto dichiarati "non adottabili" in base alle norme attuali, ma che di certo avrebbero bisogno di una famiglia. Ventiseimila bambini e ragazzi, secondo le statistiche dell'Istituto degli Innocenti di Firenze,massimo organo di osservazione dell'infanzia in Italia. Per la gran parte di loro però il futuro ha il colore grigio dell'incertezza: la legge sulle adozioni privilegia come principio il "legame di sangue" con la famiglia di origine, per quanto dissestata essa sia. Così a volte, accusano molte associazioni che chiedono la revisione della legge, bastano le sporadiche visite di un parente, e i tempi distratti della giustizia, perché un minore resti sine die in una casa famiglia, senza che possa essere dichiarato lo stato di abbandono che porta all'adottabilità. Ricordando però che in questo numero,forse sottostimato, ci sonoanche i "figli" che nessuno vuole: bimbi portatori di handicap, ragazzi e ragazze più grandi con storie pesanti, amare, difficili.
E il futuro sarà peggiore: aumenteranno le domande, diminuiranno i bambini. Milena Santerini è ordinario di Pedagogia generale all'università Cattolica di Milano e responsabile delle adozioni in Asia per la Comunità di Sant'Egidio. "Il blocco c'è, è inutile negarlo, e i fattori che lo hanno determinato sono molteplici. Da una parte c'è l'enorme aumento delle domande, che corre in parallelo alla crescita del problema dell'infertilità nel nostro Paese, ma è anche lo specchio di una maggiore apertura culturale verso l'adozione internazionale Dall'altra, invece, c'è una tendenza dei Paesi da cui finora sono arrivati i bambini, l'Europa dell'Est, il Sudamerica e l'Asia a chiudere le proprie frontiere". "In alcuni casi - chiarisce Santerini - perché effettivamente le condizioni di quei Paesi sono migliorate, penso alla Thailandia, all'India, dove le adozioni nazionali sono diventate una realtà. In altri casi perché, per ragioni di immagine, gli Stati cercano di nascondere quali siano le reali condizioni dell'infanzia ostacolando l'adozione". Oppure, ed è la situazione dell'Africa, a fronte di milioni di bambini affamati, non esistono i "canali" perché l'adozione si compia: tribunali per i minori, leggi, strutture. "Infatti - conclude Santerini - non credo sia utile adesso allargare i margini per poter presentare le domande di adozione, come ad esempio portare a 50 anni i limiti di età: si allargherebbe soltanto l'insoddisfazione delle coppie".
A questo si aggiunge, come spiega Melita Cavallo, giudice minorile ed ex presidente della commissione adozioni internazionali, "una mancanza di politica estera che sostenga gli enti nel loro lavoro, con il risultato che altri Paesi più forti e più ricchi riescono a fare molte più adozioni". "L'Italia ? aggiunge senza mezzi termini? non fa abbastanza, né in termini di progetti di solidarietà, né per sveltire le procedure italiane. Oggi, ad esempio, il percorso sia nazionale che internazionale è unico, con il risultato che i tribunali scoppiano di domande. I due iter invece dovrebbero essere differenziati, in modo che le pratiche non si sovrappongano, e si dovrebbe puntare a una maggiore professionalità dei servizi sociali. Per quanto riguarda i minori nei nostri istituti mantenendo legami con il nucleo d'origine. "Per superare veramente il problema dell'istituto, sarebbe necessaria una giurisdizione più ampia della Cassazione sul diritto di sangue: spesso accade invece che i tribunali minorili dichiarino l'adottabilità del minore e la Suprema Corte lo revochi, riportando così il bambino in istituto, o peggio in una famiglia d'origine non adatta ad allevarlo". Sulla stessa linea lo psicologo Marco Chistolini, una lunga esperienza tra adozioni e affidi. "In Italia c'è sicuramente un numero di domande assai più ampio dei bimbi disponibili. Eppure ci sono minori che potrebbero essere adottati, e invece restano in affidi familiari sine dieo in istituto. Esiste infatti a tutti i livelli, sia da parte degli operatori che dei giudici, un eccessivo garantismo sul concetto del legame di sangue. Togliere una patria potestà, così come lavorare sulla famiglia d'origine, richiede impegno, volontà, mezzi: tutte strutture di cui la giustizia minorile è drammaticamente carente". Così, nell'attesa, ragazzi e bambini restano lì, senza sapere cosa li attende, senza sapere se mai, anche a loro, spetterà il diritto ad avere una famiglia. E' vero, ci sarebbero forse più bambini che potrebbero essere dati in adozione, ma il problema non è la legge, che è una buona legge perché cerca di recuperare fino in fondo il legame con i genitori biologici,tenendo conto che spesso le situazioni di disagio derivano dalla povertà. Il punto è l'applicazione della legge, spesso disattesa, e quindi i ragazzi restano lì, in attesa di una sentenza...".
Ed è appunto di questo tempo "non tempo", del limbo della vita in istituto, che si è tornato a parlare con forza oggi in Italia, mentre tutto il meccanismo dell'adozione, in virtù di ombre e luci (le luci di Paesi dove le condizioni vita sono migliorate, e le ombre invece di Stati che speculano sull'infanzia abbandonata), sembra essere arrivato ad un punto di crisi profonda. "Nel 2007 - dice Raffaella Bregliosco dell'Istituto degli Innocenti - le adozioni internazionali sono state 3.420, ma gli enti segnacriteri lano un blocco più o meno da tutti i Paesi del mondo. Sono invece 981 i bambini nati nel nostro Paese diventati figli di coppie italiane, secondo le ultime statistiche. Un numero più o meno costante, mentre sono le domande che continuano a crescere, fino alle ventimila nel 2007". Bilancio che risulterà ancora più alto quando si farà il conteggio delle pratiche del 2008. Un dato a cui il sottosegretario Carlo Giovanardi, presidente della Commissione adozioni internazionali, risponde ricordando che, seppure lievemente, anche l'esercito "dei bimbi arrivati aumenta, che l'Italia nei Paesi in cui si adotta è in concorrenza con nazioni forti come la Francia o la Germania, e che qui ci muoviamo sugli stretti parametri della convenzione dell'Aja, cercando cioè di evitare ogni abuso nell'accertamento dello stato di abbandono dei minori da adottare".
"I tuoi figli non sono figli tuoi/sono i figli e le figlie della vita stessa... Sono vicini a te ma non sono cosa tua... Tu sei l'arco che lancia i figli verso il domani...". Così scriveva Kahlil Gibran, poeta e pensatore arabo, con parole spesso utilizzate per descrivere il senso più alto dell'adozione, cioè dare una famiglia a un bambino. "Quello che chiediamo - dice Gabriele Felice di "Nuove Frontiere", onlus attivissima che ha iniziato a raccogliere firme di parlamentari affinché vengano rivisti i parametri della legge - è il ripensamento dei segnacriteri che portano al mantenimento o al decadimento della patria potestà". Un tema delicatissimo che però inizia a trovare qualche apertura. Francesco Paolo Occhiogrosso, presidente del tribunale dei minori di Bari, è autore della formula dell'adozione "mite", ossia la trasformazione di quegli affidi familiari dove non esiste alcun margine reale di rientro in famiglia (e sono oltre il 50%) in adozioni "speciali", in cui i ragazzi hanno dei nuovi genitori pur mantenendo legami con il nucleo d'origine. "Per superare veramente il problema dell'istituto, sarebbe necessaria una giurisdizione più ampia della Cassazione sul diritto di sangue: spesso accade invece che i tribunali minorili dichiarino l'adottabilità del minore e la Suprema Corte la revochi, riportando così il bambino in istituto, o peggio in una famiglia d'origine non adatta ad allevarlo". Sulla stessa linea lo psicologo Marco Chistolini, una lunga esperienza tra adozioni e affidi. "In Italia c'è sicuramente un numero di domande assai più ampio dei bimbi disponibili. Eppure ci sono minori che potrebbero essere adottati, e invece restano in affidi familiari sine die o in istituto. Esiste infatti a tutti i livelli, sia da parte degli operatori che dei giudici, un eccessivo garantismo sul concetto del legame di sangue. Togliere una patria potestà, così come lavorare sulla famiglia d'origine, richiede impegno, volontà, mezzi: tutte strutture di cui la giustizia minorile è drammaticamente carente".
Così, nell'attesa, ragazzi e bambini restano lì, senza sapere cosa li attende, senza sapere se mai, anche a loro, spetterà il diritto ad avere una famiglia.