La Circolare del Ministero del Lavoro n. 27 del 10 novembre 2008 ha fornito chiarimenti in merito ai principali dubbi interpretativi in materia di apprendistato professionalizzante tenuto conto delle recenti novità introdotte in materia di apprendistato dal decreto legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008, sull'innesto della disciplina dettata dall'art. 49 del decreto legislativo n. 276/2003 (attuazione legge Biagi).

Durata del contratto
Tolto il limite minimo di durata, d'ora in poi il contratto di apprendistato professionalizzante potrà durare anche meno di due anni ma, in ogni caso, non può comunque essere superiore a sei anni. Il limite legale di durata minima del contratto di apprendistato professionalizzante è venuto meno in funzione della piena valorizzazione della capacità di autoregolamentazione della contrattazione collettiva, nazionale o regionale, che potrà ora individuare percorsi formativi di durata anche inferiore ai due anni nel rispetto della natura formativa del contratto in questione e, dunque, in ragione del tipo di qualificazione da conseguire. Con la nuova disciplina risultano in linea anche quei contratti collettivi che consentono l'assunzione di apprendisti da impiegare in cicli stagionali.

Trasformazione anticipata del rapporto
Il contratto di apprendistato può essere trasformato in qualunque momento in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e il datore di lavoro può conservare per un anno, a far data dalla trasformazione, lo stesso regime contributivo del contratto di apprendistato come previsto dall'art. 21, comma 6, della legge n. 56/1987.

Formazione esclusivamente aziendale
Viene costruito un "canale parallelo" affidato integralmente alla contrattazione collettiva, in caso di formazione esclusivamente aziendale. L'articolo 49, comma 5, del decreto legislativo n. 276/2003 stabilisce che "la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante è rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale" nel rispetto di alcuni principi e criteri direttivi tra i quali "la previsione di un monte ore di formazione formale, interna o esterna alla azienda, di almeno centoventi ore per anno, per la acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali" e "la presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze adeguate". Per superare le difficoltà rilevate nell'adozione delle discipline regionali è intervenuto in via transitoria il decreto legge n. 35/2005, convertito, con modificazioni, dalla n. 80/2005 che prevede la disciplina dell'apprendistato professionalizzante venga rimessa ai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati da associazioni dei datori di lavoro e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. E' dunque possibile, qualora manchi una legge regionale di regolamentazione del contratto di apprendistato professionalizzante ovvero qualora detta regolamentazione non risulti applicabile in quanto non contempla determinati profili formativi o figure professionali, stipulare validamente un contratto di apprendistato sulla base della disciplina contenuta nel contratto collettivo nazionale di lavoro. L'articolo 23 del decreto legge n. 112/2008 ha introdotto il nuovo comma 5 ter dell'articolo 49 del decreto legislativo n. 276 del 2003 secondo il quale in caso di formazione esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi, i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali". Sono dunque i contratti collettivi, di ogni livello, a stabilire cosa debba intendersi per "formazione esclusivamente aziendale" e a determinare il monte ore dì formazione formale (anche inferiore a 120 ore annuali) necessario per la acquisizione delle competenze di base e tecnico-professionali. In forza del dettato normativo è infatti la contrattazione collettiva a definire e disciplinare, per questo specifico canale, la formazione aziendale che, non può essere aprioristicamente determinata né tanto meno condizionata dalle normative regionali, competenti a disciplinare, d'intesa con le parti sociali di livello regionale, i contenuti e le modalità di accesso all'offerta formativa pubblica e alle relative risorse finanziarie. Pertanto, nel "canale parallelo" la formazione può essere svolta anche "fisicamente" fuori dall'azienda, se così prevedano i contratti collettivi, a condizione ovviamente che sia l'azienda a erogare, direttamente o anche solo indirettamente la formazione, e purché tale formazione non implichi finanziamenti pubblici. Naturalmente, ciò non esclude che le singole Regioni, nell'ambito della loro autonomia, possano decidere di riservare forme di finanziamento o altre agevolazioni anche alle imprese che attuino formazione esclusivamente aziendale. La previsione del comma 5 ter è immediatamente operativa anche con riferimento a quei contratti collettivi che hanno introdotto una nozione di formazione aziendale sulla scorta del preesistente quadro normativo.

Formazione e responsabilità datore di lavoro
In caso di inadempimento nella erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità, il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta, con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore, che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento. La maggiorazione così stabilita esclude l'applicazione di qualsiasi altra sanzione prevista in caso di omessa contribuzione.

Sottoinquadramento del lavoratore e profili retributivi
Alla luce della combinazione tra le nuove norme sull'inquadramento degli apprendisti (art.23 decreto legge 112/2008 e art.53 decreto legislativo 276/2003) e le vecchie ancora vigenti che prevedono gradualità della retribuzione anche in rapporto all'anzianità di servizio (art.13 legge 25/1955), l'apprendista può ricevere nel corso del rapporto di lavoro una retribuzione inferiore in percentuale rispetto al livello di sottoinquadramento, a condizione che tale livello sia garantito almeno quale punto di arrivo della progressione retributiva. Poiché l'art. 53 del decreto legislativo 276/2005 è una norma che non ha introdotto un collegamento automatico tra la retribuzione iniziale dell'apprendista e quella prevista per il lavoratore inquadrato nella qualificazione o qualifica finale, meno due livelli resta intatta la possibilità di combinare il sistema della percentualizzazione con il livello di sottoinquadramento. Tale livello potrà essere utilizzato sia come "tetto" o livello finale sia come "soglia" o livello iniziale della progressione percentuale.

Cumulabilità dei rapporti di apprendistato
Ovvero, la possibilità di cumulare più periodi di apprendistato svolti presso diversi datori di lavoro. Tenuto conto che la disciplina dell'apprendistato professionalizzante va integrata con le disposizioni contenute nella legge n. 25/1955, non abrogate dal decreto legislativo n. 276/2003, che continuano a trovare applicazione ai contratti di apprendistato, in quanto compatibili con il nuovo quadro normativo è applicabile anche l'articolo 8 della legge n. 25/1955 e ciò anche nei rapporti tra "vecchio" e "nuovo" apprendistato.
L'art.8 della legge 25/1955 è ancora vigente e recita: i periodi di servizio prestato in qualità di apprendista presso più datori di lavoro si cumulano ai fini del computo della durata massima del periodo di apprendistato, purché non separati da interruzioni superiori ad un anno e purché si riferiscano alle stesse attività.

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