In Italia lavora un milione e mezzo di immigrati - il 10% circa del totale degli occupati -, la maggior parte dei quali concentrato nel Nord del Paese. In Lombardia quasi la metà dei nuovi assunti (45,6%) è nata all'estero: un dato che, "spalmato" a livello provinciale, vede risiedere a Brescia un occupato straniero su cinque; a Mantova, Lodi e Bergamo uno su sei; a Milano uno su sette.
Si tratta di cifre in crescita, secondo un andamento continuo e costante. Basti pensare che, in Veneto, la presenza degli stranieri in azienda è raddoppiata nel giro di otto anni, passando dai 20mila dell'inizio del 2000 ai 40mila attuali. Altra realtà territoriale significativa è il Lazio, dove il numero di lavoratori stranieri - 255.952 persone - equivale a quello di tutte le regioni del Mezzogiorno.
Questi sono alcuni dei numeri illustrati oggi, a Roma, in occasione della presentazione del XVIII Rapporto sull'immigrazione realizzato da Caritas/Migrantes. Vediamo, di seguito, alcuni degli aspetti principali legati al fenomeno occupazionale.

Gli ambiti produttivi
In un tessuto economico come quello italiano caratterizzato quasi esclusivamente dalla presenza di micro e piccole imprese, sono queste ultime le responsabili dei tre quarti delle assunzioni di stranieri. Sul fronte dei singoli comparti, è da registrare come la percentuale di presenze sia scesa al 35,3% nelle industrie, a fronte di una crescita nell'agricoltura (7,3%) e nei servizi (53,8%). Nelle regioni del Nord prevalgono il lavoro in azienda e quello autonomo; nel centro il lavoro autonomo e in famiglia; nel sud, il lavoro in famiglia e quello agricolo. Il tasso di attività degli immigrati, infine, è pari al 73,2% (ma per gli uomini si arriva all'88%): una percentuale superiore a quella degli italiani.

Rapporti col sindacato
Il rapporto, per quanto riguarda il capitolo dell'occupazione, ha evidenziato la presenza di alcune trasformazioni radicali che stanno investendo la società italiana. A partire dalle iscrizioni al sindacato dove, in numeri assoluti, i tesserati stranieri hanno ampiamente superato quota 800mila: il 5% sul totale delle adesioni. Un dato che, tuttavia, appare ancor più rilevante - e raggiunge addirittura il 12% - se raffrontato con la sola fascia dei lavoratori "non attivi" (escludendo, dunque, i pensionati: di fatto la categoria oggi numericamente più consistente).

Imprenditori
Anche se esistono casi limitati di immigrati a capo di grandi aziende, sono centinaia, al contrario, gli esempi di piccola imprenditoria. Il fenomeno riguarda soprattutto il lavoro autonomo e, in particolare, l'artigianato, che coinvolge circa un decimo della popolazione adulta straniera presente in Italia. Secondo il Dossier Caritas in Italia sono in tutto 165.114 i titolari di impresa tra gli immigrati. In generale, il fenomeno è abbastanza recente e l'85% di queste aziende è stato costituito dal 2000 in poi. La collettività che vanta tra le sue fila il maggior numero di imprenditori è quella marocchina, con 20mila casi, seguita da quella romena (in forte crescita) e da quella cinese. Anche gli imprenditori albanesi sono in numero consistente, con 17mila presenze su tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda, invece, i settori produttivi, chi è nato all'estero e decide di mettersi in proprio si concentra prevalentemente tra l'edilizia e il commercio.

Lavoro nero
Secondo la Caritas sono circa 500mila gli stranieri attivi nel sommerso. "Un fenomeno enormemente diffuso non solo presso le famiglie ma anche nelle aziende con un'ampiezza sconosciuta negli altri paesi industrializzati", stima il Rapporto. "In tre anni (2005-2007) è stato presentato circa un milione e mezzo di domande di assunzione di lavoratori stranieri con un'incidenza rispetto alla popolazione straniera già residente che va dal 10% al 25% nel 2007 (ma addirittura del 33% rispetto ai lavoratori stranieri già occupati)".

Ricchezza prodotta e spesa sociale
Secondo una stima di Unioncamere, gli immigrati concorrono per il 9% alla creazione del Pil, tre punti in più rispetto all'incidenza sulla popolazione. Gli immigrati hanno un costo in termini di servizi e assistenza: i Comuni italiani spendono specificamente per gli immigrati il 2,4% della loro spesa sociale (nel 2005, ultimo dato disponibile, 137 milioni di euro). Tenendo conto che gli immigrati sono fruitori anche di servizi a carattere generale, si può stimare che attualmente per loro si possa arrivare a una spesa sociale di un miliardo di euro, ampiamente coperti dai 3,7 miliardi di euro che, secondo una stima del dossier, assicurano come gettito fiscale.

 

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