di Leonardo Tondelli
Terroristi pakistani: quando i vecchi pregiudizi non bastano... e ne occorrono di nuovi. Riflessioni confuse di un opinionista di provincia
L'opinionista di provincia guarda Londra bruciare, dopo Madrid, Bagdad, New York... e in bassa frequenza, sotto tutta la retorica del caso, non può fare a meno di pensare: fatti vostri. Un aspetto positivo della provincia è che il tuo indirizzo non rischia di essere preso per il simbolo dell'occidente, o della cristianità, o di quant'altro.
L'opinionista di provincia è quasi tentato di considerare la provincializzazione della società come la Soluzione Finale alla guerra al Terrore: come in quel vecchio racconto di Clifford Simak in cui la Guerra Fredda finisce semplicemente perché la gente va ad abitare nei sobborghi, e non ci sono più città degne di essere considerate obiettivi militari per i missili sovietici.
Poi magari un marocchino sciroccato parcheggia davanti alla sinagoga dietro casa e si fa esplodere, e l'opinionista di provincia ha un sobbalzo.
Il giornale dice che i terroristi londinesi erano tutti pakistani appassionati di cricket: ora, la provincia in questione è perlappunto piena di simpatici pakistani. Che giocano a cricket. Fanno spettacolari tiri a campanile e sono bravissimi a riprendere la pallina al volo.
L'opinionista di provincia è costretto a rivedere i suoi pregiudizi. I pakistani non sono arabi: sembra una pignoleria. Però sono più di centocinquanta milioni di persone che non parlano arabo, non mangiano arabo, e non assomigliano affatto a degli arabi. Se mettete di fianco un pakistano e un arabo dovreste distinguerli a colpo sicuro - almeno con la stessa percentuale di errore che avrebbe un pakistano nel distinguere un italiano da un polacco. (Italiani e polacchi hanno molte cose in comune, ma a nessun italiano farebbe piacere essere scambiato per un polacco. Non è una pignoleria. Non confiniamo neanche). Invece è molto più comprensibile confondere i pakistani con gli indiani: dopotutto erano indiani anche loro, prima del 1947 (ma chi l'ha mai visto, un pakistano nato prima del 1947? Hanno tutti vent'anni). Non esisteva nemmeno il concetto di "Pakistan", strano acronimo che può voler dire anche "Paese dei Puri". Durante il primo conflitto indo-pachistano, milioni di indù migrarono dal Pakistan all'India, e milioni di musulmani migrarono dall'India al Pakistan, mentre Gandhi digiunava dalla disperazione.
Il destino di Gandhi: diventare il simbolo del più grande processo pacifico di indipendenza della Storia, solo per assistere a una guerra civile e religiosa (e morire per mano di un correligionario). Potremmo dire che indiani e pakistani appartengono alla stessa etnia, se la scienza ci consentisse di parlare di etnia (ma le cose sono maledettamente più complicate). Al massimo possiamo dire che hanno condiviso secoli di Storia. Ma poi hanno combattuto quattro guerre, e oggi un pakistano preferisce farsi assimilare da un inglese che da un indiano. La protagonista anglo-indiana di "Sognando Beckham", che si innamora del coach irlandese, a un certo punto tranquillizza le colleghe di spogliatoio: per la famiglia sarebbe stato peggio se si fosse innamorata di "un musulmano". E con un dito sul collo mima il suo sgozzamento.
È un po' lo stesso paradosso dei curdi e dei turchi, che dopo aver combattuto per decenni si ritrovano negli stessi quartieri di Berlino: a Sud i padri combattono ancora per vecchi ideali, come la religione e l'indipendenza; e poi mandano i figli a rimescolarsi nelle grandi Capitali del Nord, che evidentemente hanno una forza d'attrazione superiore a quella di qualsiasi richiamo identitario.
Perfetto. Anzi, no, visto quello che succede alla seconda generazione: senso di estraneità, razzismo al contrario, terrorismo. Metà di quel che so del Sud del mondo discende dalle chiacchiere dei Padri Missionari che svernavano in parrocchia. Una volta uno mi disse che nella regione africana dei Laghi "noi bianchi" avevamo commesso imperdonabili errori affidandoci alle prime impressioni. Per esempio, tendevamo a considerare i neri più alti, dal più nobile portamento, come nostri interlocutori privilegiati, e a diffidare di quelli bassi e tracagnotti, senz'altro dei buoni a niente. Gli alti erano poi i Tutsi (che al plurale fa Wa-Tutsi); i bassi e tracagnotti gli Hutu. Per dire quanto possono essere pericolose, le prime impressioni.
E questo cosa c'entra? Se conoscete un po' i pakistani, c'entra. Di tutti gli extracomunitari afro-asiatici, sono o non sono i più perfettini? Insieme agli indiani, certo. Nel loro sguardo non c'è traccia dell'innata strafottenza araba. Io non so se sia un retaggio genetico o culturale (secoli e secoli di mercanteggiamenti e piraterie sulle due sponde del Mediterraneo), il fatto è che come europeo non riesco a guardare in faccia un arabo maschio dai 5 anni in su senza sospettare che mi stia buggerando. Fosse anche Mubarak.
Magari è una cosa reciproca, magari anche l'arabo medio non riesce a fidarsi dei miei occhi verdi (marroni, ndr.). Razionalmente, poi, io so che si tratta di odiosi pregiudizi da superare: però se avessi una figlia, e se lei fosse combattuta tra uno spasimante magrebino e uno pakistano, non avrei il minimo dubbio su chi sconsigliarle. Il pakistano ha un'aria più gentile. Il pakistano ha lo sguardo malinconico e l'accento melodioso. Il pakistano studia, si applica, è dotato per la matematica. Il pakistano gioca a cricket, che è uno sport incomprensibile, ma molto anglosassone. Il pakistano è quasi praticamente un indiano, e gli indiani sono un popolo pacifico. Per contro gli arabi, si sa, ti stringono la mano e nell'altra nascondono armi di distruzioni di massa; terroristi, predoni, infibulatori, tagliatori di teste... In realtà, se è vero che Bin Laden è un arabo, è altrettanto vero che senza le aderenze pakistane non avrebbe mai combinato nulla in Afghanistan, e forse le Torri Gemelle sarebbero ancora al loro posto.
È noto che il regime talebano era fortemente sostenuto dal Pakistan. È noto che i cosiddetti "studenti di teologia" avevano frequentato madrase pachistane. E che quando Bin Laden è dovuto scappare, braccato a Tora Bora, i pachistani si sono guardati bene dal consegnarlo agli americani. È noto che il Pakistan è il primo Stato islamico ad aver testato la sua brava bomba atomica (per puntarla sul cugino indiano, ovviamente). E che il Pakistan non è in senso stretto una democrazia, perché gli americani hanno preferito esportarla nel vicino Afganistan, senza turbare il generale Musharraf. Che anche lui, a guardarlo, ha un'aria da dittatore perbene. Mica come quel sornione di Saddam Hussein, di cui era impossibile fidarsi.
Insomma, i pakistani hanno giocato un ruolo non secondario nella guerra del terrore. Eppure, alla fine, noi continuiamo a prendercela con gli arabi. Fallaci e compagnia cantante tuonano contro l'"Eurabia": e perché non l'"Eurostan"? Com'è che i pakistani alla fine se la cavano sempre, come una minoranza di nessuna importanza? Sono 150 milioni. È che questi ragazzi che "sembrano indiani", e parlano inglese meglio di noi (con quell'accento buffo) non corrispondono alla nostra idea di Straniero per eccellenza. Che è l'arabo, è sempre stato l'arabo. Sin dal tempo dei Mori e di "Mamma li turchi" (che poi erano pirati tunisini). Attraverso la Guerra di Libia e le Leggi razziali (c'è un fondo di antisemitismo nel nostro antiarabismo). Che è tanto più straniero ("unheimlich", in tedesco) quanto più ci è familiare ("heimlich"): nelle mia provincia, "marocchino" era l'epiteto offensivo riservato agli immigrati provenienti da Roma in giù. Il "maròc" era olivastro, scansafatiche e infido: quando poi sono arrivati i marocchini veri, si sono trovati sulle spalle uno stereotipo già perfettamente rodato. Al contrario dei pachistani, giunti all'improvviso, inaspettati, senza averci lasciato il tempo di costruire qualche pregiudizio anche su di loro. Ma c'è da scommettere che sapremo recuperare il tempo perduto.
Vita, 14 luglio 2005