La responsabilità solidale deve essere il principio guida

Il mondo è in crisi perché è in crisi l'ideologia della globalizzazione neoliberista e delle sue scelte fallimentari di politica sociale, economica, ambientale, militare, finanziaria. A pagarne le conseguenze sono le persone più povere, soprattutto nei paesi nel sud del mondo ma anche nei nostri paesi, in cui assistiamo alla formazione di nuove forme di povertà e nuove forme di emarginazione, che coinvolgono in primo luogo le migranti e i migranti nella diaspora in tutto il mondo. Assistiamo a una pericolosa deriva securitaria ispirata all'egoismo e non alla responsabilità solidale. I segnali di crisi e decadenza del sistema della globalizzazione economico e finanziaria sono evidenti. Il disimpegno pubblico nella lotta alla povertà è la perfetta e naturale conseguenza di una società, la più ricca, che si ripiega su se stessa.  Siamo di fronte all'irresponsabile e progressivo sgretolarsi degli impegni assunti dai governi dei paesi ricchi a partire dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. 

 

Questi ultimi non solo non sono stati realmente perseguiti ma vengono contraddetti da politiche economiche, finanziarie, commerciali, culturali e sociali, ispirate all'unico scopo di mantenere intatta l'impalcatura su cui si regge e si fonda la ricchezza e il benessere di pochi e di sopraffazione sulla maggioranza delle popolazioni che vivono in condizioni di povertà. 

Ne è la prova ultima, proprio in questi giorni, la rincorsa al salvataggio del sistema finanziario e speculativo globale - che è peraltro una tra le cause principali degli squilibri tra nord e sud e dei processi di impoverimento - e la conseguente riduzione dei fondi per il welfare e per politiche sociali eque e sostenibili.  Le stesse risorse che oggi vengono impiegate per far fronte alla crisi finanziaria sono state sempre negate alla lotta alla povertà, alla cancellazione del debito, a processi di sviluppo di lungo periodo che ponessero rimedio ai devastanti processi di colonizzazione, deportazione e riduzione in schiavitù, alle politiche di aggiustamento strutturale di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, che ne sono causa e origine portante.

Ad ammettere il fallimento di queste politiche sono ormai le stesse istituzioni finanziarie internazionali. La promessa, mai mantenuta, dello 0,7 % del PIL da destinare all'aiuto pubblico allo sviluppo appare figlia di un tempo in cui la comunità internazionale ha sentito il dovere morale di assumere impegni, salvo poi perseguirli realmente e concretamente solo in minima parte e da parte di pochissimi governi. Oggi questi impegni presi solennemente nelle sedi europee e internazionali appaiono, di fronte alla crisi, ancora più urgenti e necessari da mantenere. 

Cogliamo questa crisi sistemica come momento di passaggio e trasformazione epocale, in Italia e nel mondo. A cinque anni dalla Conferenza dell'ONU di Monterrey che nel 2002 doveva essere il momento per individuare strumenti e mezzi per finanziare adeguatamente lo sviluppo, sulla scia del decennio delle grandi conferenze delle Nazioni Unite, la conferenza di Doha del prossimo novembre avviene in un momento in cui in Italia i tagli alla cooperazione annunciati nella finanziaria, appaiono anticipare una pericolosa tendenza della comunità internazionale a delegare/relegare al privato l'impegno della lotta alla povertà

Sappiamo che questo vorrebbe dire sancire definitivamente l'inesistenza di una responsabilità pubblica dei paesi ricchi verso quelli impoveriti. Noi invece crediamo che a questa responsabilità non si possa e non si debba sfuggire. E' una responsabilità storica, economica, finanziaria, sociale e culturale e umana che come società civile impegnata nella lotta alla povertà abbiamo sempre assunto. In molti e da diversi anni abbiamo agito in prima persona: a partire dal basso, costruendo iniziative capillari e diffuse che ancora oggi vedono in molti territori tanti soggetti impegnati quotidianamente nella costruzione di esperienze e progetti, che dimostrano che un altro mondo è possibile. In Italia, per anni abbiamo rappresentato con la cooperazione decentrata e con gli interventi dei soggetti della società civile un solido riferimento, anche economico, nella lotta alla povertà, con migliaia di iniziative e progetti che hanno messo in comunicazione e collaborazione territori e comunità del nostro paese e dei paesi in costante via di impoverimento. Anomalia riconosciuta al nostro paese da istituzioni internazionali: a fronte della sensibilità e della mobilitazione di risorse da parte della società civile e della cooperazione decentrata, la risposta istituzionale, dopo una breve parentesi di inversione di tendenza mostrata tra il 2007 e 2008, torna ad una drastica inversione di marcia degli impegni per la lotta alla povertà.

A livello internazionale il 2008 è stato un anno di grandi eventi sui quali alte erano le aspettative : il forum di alto livello delle Nazioni Unite sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, la conferenza sull'efficacia dell'aiuto ad Accra, l'incontro alla FAO sulla sicurezza alimentare e la crisi dei prezzi. Da febbraio a settembre ad esempio, le associazioni femminili e femministe hanno lavorato intensamente per includere una solida prospettiva di genere nei principali consessi e processi legati all'agenda dello sviluppo. Lo stesso vale per molte organizzazioni che hanno lavorato all'incontro di New York lo scorso settembre o per le realtà impegnate nel Trattato Internazionale sul commercio delle armi e quello sulla proliferazione nucleare, che rischiano di non produrre gli effetti di disarmo e di pace auspicati dalla società civile. Nessun meeting ha risposto veramente alle richieste e alle attese. Scontiamo così il fallimento di questi grandi fora internazionali, che non solo  non hanno contribuito a risolvere i problemi per cui sono stati organizzati, ma soprattutto hanno minato la fiducia delle persone e organizzazioni della società civile rispetto ai processi di pace, di sviluppo, di dialogo, aumentandone lo scetticismo verso le istituzioni internazionali che fino ad oggi hanno rappresentato un importante riferimento. 

Crediamo che la natura della crisi odierna della globalizzazione ponga il tema, e fornisca l'occasione, per colmare i deficit di democrazia presenti nel governo dei processi globali. Crediamo che a questa mancanza di una effettiva governance dei processi internazionali si debba rispondere riformando le istituzioni esistenti - a partire dalle Nazioni Unite e dalle Istituzioni Finanziarie internazionali - e creandone di nuove, improntandone il funzionamento a criteri di democrazia, pluralismo, trasparenza, efficacia, rappresentatività. 

I richiami sulla qualità ed efficacia degli aiuti che abbiamo sempre preteso e pretendiamo sono diventati insufficienti e inutili se contemporaneamente le risorse per sostenere la cooperazione vengono ridotte ai minimi termini dai Governi . Le società civili che si sono ritrovate ad Accra  hanno messo in discussione la stessa definizione degli aiuti, che ancorché insufficienti sarebbero doverosi, laddove ancora oggi è in atto ancora un vero e proprio Piano Marshall rovesciato in cui i poveri del pianeta finanziano il benessere dei pochi fortunati ricchi. Basti ricordare che a fronte dei finanziamenti destinati agli aiuti, rientrano nelle casse del nord sviluppato e ricco risorse derivanti dagli interessi sul debito estero  e in virtù di meccanismi economici, finanziari, commerciali speculativi e legati al profitto. E comunque le nostre e i nostri partners dei paesi impoveriti sono andati ben oltre questo quadro di riferimento, avanzando interrogativi e opposizioni non solo sull'efficacia dei progetti bensì sugli stessi modelli di sviluppo proposti dai donatori. Perfino richiamare l'attenzione per la presidenza di turno dell'Italia del G8, può apparire inadeguato nel quadro di una chiara tendenza politica che non ha e non avrà all'ordine del giorno il senso di responsabilità e solidarietà verso i popoli impoveriti. 

Ciò che ci preoccupa e impone anche a noi un salto di qualità nel nostro lavoro, è la consapevolezza che a prevalere non sia solo l'egoismo espresso delle istituzioni, bensì un'egemonia culturale dell'egoismo che pervade oggi molta parte della nostra società. 

Il razzismo, le politiche sbagliate e ingiuste verso le donne e gli uomini migranti, le politiche securitarie, di militarizzazione dei territori, di attacco a tutte le diversità politiche, religiose e culturali, di repressione di soggettività diverse, sono lo specchio più evidente e drammatico di questa pericolosa deriva. Bisogna avere il coraggio della denuncia, di chiamare le cose con il loro nome. Gli episodi di intolleranza e di razzismo sempre più frequenti sono il segno di debolezza culturale e di incapacità di una società, che affronta senza memoria, senza dignità la propria storia, il presente e quindi il suo stesso futuro. 

Sentiamo su di noi la gravità e la responsabilità di un lavoro che deve riattivare la capacità di iniziativa di sensibilizzazione e di coerenza a partire dalle nostre realtà articolate del mondo della solidarietà e cooperazione internazionale.  Crediamo nel ruolo che le società civili del nord e del sud hanno e nella crescente rivendicazione di ruolo e di voce in capitolo delle diaspore, che rappresentano la chiave di volta nella costruzione di una strategia comune, di una nuova cultura di interdipendenza e responsabilità solidale. E' possibile costruire nuove alleanze per cambiare il mondo, costruendo insieme oltre a tanti progetti, mobilitazioni locali ed internazionali che spingano le rispettive istituzioni a rispondere alle necessità e sogni di futuro delle popolazioni. 

Ma se ciò è quanto in cui ci sentiamo impegnati noi, sappiamo che pure le istituzioni devono fare la loro parte e che senza il loro impegno non sarà possibile raggiungere l'obiettivo dello sradicamento della povertà. Per questo noi lo pretendiamo. 

La coincidenza della crisi finanziaria, alimentare, climatica, l'insostenibilità del sistema, è crisi o decadenza? Dal paradosso una speranza? Può essere l'occasione per costruire un nuovo e più giusto equilibrio. Un'occasione di cui vogliamo cogliere l'elemento di una nuova speranza per l'umanità del nostro pianeta. Per questo gli Stati Generali continueranno ad impegnarsi per affermare tra le donne e  gli uomini nella società, nei parlamenti e nei governi una nuova e forte cultura di responsabilità solidale.


Sulla base di queste premesse, gli Stati Generali pongono all'attenzione della politica e della società civile le seguenti priorità, che assumono come agenda programmatica: 
 
COERENZA DELLE POLITICHE

Che si annulli incondizionatamente ogni forma di debito dichiarato illegittimo, e si identifichino modalità di restituzione del debito ecologico verso i Sud del mondo, ed allo stesso tempo si assicuri ai governi la discrezionalità nello scegliere le proprie politiche economiche e produttive, sotto costante scrutinio della società civile organizzata e dei movimenti sociali e delle parti sociali. Obiettivo sarà la restituzione di sovranità economica, e la libertà di quei governi di beneficiare del gettito fiscale derivante dai profitti generati dalle imprese straniere, dalla lotta ai paradisi fiscali ed alle fughe di capitali, dalla cancellazione del debito e la revisione radicale delle politiche commerciali globali;

ATTORI E STRUMENTI
Che si elabori e adotti un Codice Etico sulla Cooperazione Internazionale  che coinvolga i diversi attori del settore e le Istituzioni, su valori e prassi, e che rafforzi negli italiani quegli elementi culturali fondamentali per un maggiore impegno internazionale del nostro Paese.

PACE, DISARMO E PREVENZIONE DEI CONFLITTI
che si riducano sensibilmente le spese militari e il commercio internazionale di armi, causa primaria dell'attuale violenza armata che sta mietendo innumerevoli vittime e  riducendo in miseria milioni di popolazioni nel mondo, liberando così risorse da destinare alla spesa sociale, alla pace e alla cooperazione internazionale; 

DIRITTI
che si riconosca il diritto umano inalienabile alla mobilità delle persone (e impegnarsi per la ratifica delle convenzioni ONU sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici migranti e delle loro famiglie) e il pieno rispetto dell'autodeterminazione di ogni popolo, delle sue culture e delle culture, in tutte le azioni politiche e negli interventi internazionali; 

POLITICHE DI GENERE
che si promuova la partecipazione delle donne ai processi decisionali nei contesti locali così come nei fora nazionali e internazionali rilevanti, adeguando di conseguenza tempi, costi e strumenti dei programmi di sviluppo e valorizzando le capacità di ricerca, analisi e mobilitazione delle donne del Sud del mondo. A tal fine e concretamente, chiediamo che l'Italia si doti di un Piano Nazionale d'Azione per l'implementazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1325 del 2000 per garantire il mainstreaming di genere delle operazioni di peacekeeping mediante la piena realizzazione di un adeguato sistema di progettazione e monitoraggio e per realizzare una decisa azione di contrasto alle violenze di genere garantendo la rilevazione e la repressione delle violazioni dei diritti umani delle donne. 

RETI TERRITORIALI
Gli Stati Generali si ripropongono di portare a compimento il percorso di regionalizzazione, completandolo nelle regioni dove ancora non è stato attuato e rendendolo continuativo nelle regioni dove già è in atto.

Valeria Sabato
Ufficio stampa SG
tel. 339 4145669

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