"Giustamente l'Europa non tace e per bocca del commissario per l'Ambiente Stavros Dimas rivela quella che è una eclatante verità: le cifre che Berlusconi e il governo italiano citano sono fuori da ogni proporzione e ben lontane da quel che chiede l'Unione europea". Così Legambiente, che sulla vicenda pacchetto-clima e reazioni italiane ha preparato un breve dossier, commenta la polemica in corso tra i vertici europei e quelli italiani sulla chiusura dell'accordo sul pacchetto climatico e gli obiettivi da raggiungere entro il 2020.
Al contrario di quanto afferma il governo - si legge nel documento dell'associazione - la Commissione europea ha già offerto all'Italia un incredibile sconto sui nuovi target per il clima, con la scelta di fissare al 2005 invece che al 1990 l'anno di riferimento per i nuovi tagli dei gas a effetto serra entro il 2020. Entro il 2020 infatti, secondo quanto stabilisce il pacchetto Ue, l'Italia dovrà ridurre le proprie emissioni a effetto serra del 13 per cento rispetto ai livelli del 2005.
"Il paradosso è che nel caso dell'Italia, questo obiettivo al 2020 è inferiore a quello fissato dal protocollo di Kyoto al 2012 - sottolinea il responsabile energia di Legambiente Edoardo Zanchini -. Perché tali sono i nostri ritardi (nel 2005 l'Italia in controtendenza rispetto al resto dell'Europa aveva aumentato le proprie emissioni di CO2 equivalente del 12,1% rispetto al 1990), che ci è stato già assegnato un consistente sconto, e mentre Germania, Gran Bretagna e Francia si assumono, dal 2012 al 2020, impegni reali di riduzione e nell'ordine di centinaia di milioni di tonnellate di CO2 equivalente, all'Italia è consentito di aumentarle".
Rispetto ai costi poi, Governo italiano e Confindustria hanno lanciato un grido di allarme per l'economia italiana, sostenendo che la spesa per il nostro Paese, dovesse essere di circa 25-30 miliardi di euro l'anno.
"Peccato - ha aggiunto Zanchini - che questi studi non siano stati mai resi pubblici e che siano stati smentiti dalla stessa Commissione europea secondo la quale l'adeguamento alla direttiva 20-20-20 costerà all'Italia 8 miliardi di euro l'anno, secondo calcoli che si basano sui costi di investimento previsti per lo sviluppo di rinnovabili, abbattimento dei gas a effetto serra, efficienza energetica e sulla riforme strutturali del sistema elettrico necessarie, senza considerare però i benefici economici del pacchetto".
A fronte dei 92 miliardi di spesa previsti per l'intera Ue, la Commissione stima anche un risparmio di circa 50 miliardi di euro per la riduzione delle importazioni di gas e petrolio e un risparmio di 10 miliardi rispetto alle attuali spese per i danni prodotti dall'inquinamento atmosferico, senza contare i benefici in termini di efficienza e ammodernamento industriale. Per l'Italia, l'Ue stima un risparmio di 7,6 miliardi l'anno nel taglio delle importazioni di idrocarburi e di 0,9 miliardi di euro nei costi per contrastare l'inquinamento. I costi effettivi pertanto scendono fino a trasformarsi in un guadagno netto di 600 milioni di euro l'anno.
Questo senza contare i benefici di lungo termine sul piano dello sviluppo di un settore innovativo come quello delle rinnovabili e di crescita occupazionale. Inoltre non bisogna dimenticare i costi che già oggi pesano sull'Italia per i ritardi nell'adeguamento al protocollo di Kyoto. Da gennaio del 2008 fino al 2012 il mancato rispetto degli obiettivi fissati dal protocollo peserà per almeno 7 miliardi di euro sulle spalle dei contribuenti.
"La verità - ha concluso Zanchini - è che con le sue minacce di veto e le richieste di ritardare l'approvazione del pacchetto, l'Italia è rimasta isolata all'interno dell'Unione europea. L'obiettivo del governo italiano è uno solo: quello di ottenere maggiore flessibilità all'interno delle misure previste".
L'Italia chiede infatti di eliminare qualsiasi obiettivo temporale intermedio fino al 2020, in modo da evitare controlli e sanzioni. Sia sulle rinnovabili che sulla riduzione delle emissioni climalteranti si vorrebbe spingere oltre ogni limite la possibilità di rispettare gli impegni attraverso l'acquisto di crediti finanziari piuttosto che con investimenti reali sul proprio territorio. Ma acquistare crediti per finanziare l'istallazione di un campo eolico in un paese estero significa spendere soldi a vuoto. Significa pagare per l'innovazione di un altro paese senza avere alcun ritorno né sulla riduzione dell'inquinamento, né sul taglio di spesa dovuto all'importazione di petrolio o gas, né sull'occupazione che nascerebbe dallo sviluppo di un'economia rinnovabile.
L'Ufficio Stampa (06.86268353/76/79/99)