Roma, 15 ottobre 2008 
"Ripartire dai poveri": è il titolo del Rapporto 2008 sulla povertà e l'esclusione sociale in Italia, presentato oggi mercoledì 15 ottobre a Roma da Caritas Italiana e Fondazione Zancan di Padova. Il prossimo 17 ottobre ricorre la Giornata mondiale di lotta alla povertà. Nell'attuale crisi economica generalizzata, in cui gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio sembrano sempre più lontani, i poveri sono doppiamente penalizzati. Ma quale è la situazione della povertà in Italia? È possibile contrastarla senza aumentare la spesa sociale del Paese?

LE FASCE DI POPOLAZIONE MAGGIORMENTE IN DIFFICOLTÀ
Da decenni il fenomeno "povertà" è in stallo a causa di risorse limitate o male utilizzate: povero è, ancora oggi, secondo l'ISTAT il 13% della popolazione italiana, costretto a sopravvivere con meno di metà del reddito medio italiano, ossia con meno di 500-600 euro al mese. Accanto ai poveri, poi, ci sono i "quasi poveri", ossia persone al di sopra della soglia di povertà per una somma esigua, che va dai 10 ai 50 euro al mese: con riferimento all'Europa dei 15, l'Italia presenta una delle più alte percentuali di popolazione a rischio povertà. Il Rapporto 2007 sulla povertà e l'esclusione sociale nel titolo si poneva una domanda: "Rassegnarsi alla povertà?". Il Rapporto 2008 vuole dare una risposta: "Ripartire dai poveri". Ma da quali "poveri" ripartire? Quali sono le situazioni cui va data priorità? Il nuovo Rapporto Caritas-Zancan individua due fasce di popolazione maggiormente in difficoltà: le persone non autosufficienti e le famiglie con figli.

LA SPESA PER LA PROTEZIONE SOCIALE: IL CONFRONTO CON L'EUROPA
Nell'Europa dei 15, l'Italia, dopo la Grecia, è il Paese in cui i trasferimenti sociali hanno il minor impatto nel ridurre la povertà: abbattono la quantità di popolazione povera solo di 4 punti percentuali. Per esempio, Svezia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Germania e Irlanda riescono a ridurre del 50% il rischio di povertà. Secondo il Rapporto Caritas-Zancan, due sono le questioni da affrontare con urgenza: il passaggio da trasferimenti monetari a servizi e la gestione decentrata della spesa sociale.
«Come evidenziano i dati - afferma Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan - i Paesi che investono di più in servizi piuttosto che in trasferimenti monetari sono gli stessi Paesi che riescono a incidere sul fenomeno della povertà del 50%.... Una strada chiara, da percorrere anche nel nostro Paese» Per quanto riguarda poi la gestione della spesa, nel nostro Paese l'assistenza sociale è tuttora erogata a livello centrale (sia dalle amministrazioni centrali che dagli enti di previdenza) piuttosto che a livello locale, diversamente da quanto prevedono le recenti modifiche costituzionali. Solo l'11% della spesa per assistenza sociale è gestita a livello locale. Si tratta di una contraddizione su cui è urgente intervenire, collegando strutturalmente il passaggio da trasferimenti a servizi e da gestione centrale a gestione locale.

RIALLOCARE LE RISORSE: UNA PROPOSTA CONCRETA
È possibile offrire risposte ai problemi della povertà, senza aumentare la spesa complessiva per la protezione sociale, riallocando una parte delle risorse destinate alla spesa sociale. Da dove cominciare? Il Rapporto 2008 in particolare prende in esame la spesa per indennità di accompagnamento e la spesa per assegni familiari. Entrambe queste voci di spesa vengono poste tra le aree di azione specifica per un piano di lotta alla povertà, ipotizzando forme parziali di riconversione dei 10.175 milioni di euro e dei 6.427 milioni di euro che rispettivamente compongono la spesa per indennità e per assegni. In che modo?
Passando da un approccio per categoria a un approccio basato sulla persona e trovando soluzioni perché almeno una parte del trasferimento monetario possa essere fruita in termini di servizi accessibili, come prestazioni di sostegno alla domiciliarità, attività di socializzazione, servizi per l'inserimento lavorativo, ecc. «Occorre applicare seriamente il principio di equità sociale e di universalismo selettivo - sottolinea Tiziano Vecchiato -, ponendo fine alle rendite di posizione, agli interventi a pioggia, mettendo al centro le persone...».
E mons.Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, ribadisce: « La politica - quella vera e non serva del dio denaro - deve fare la sua parte. Riaffermando il bene comune e il primato della persona umana ».

I SISTEMI LOCALI IN PRIMA LINEA
Il monitoraggio sulla pianificazione sociale di zona condotto nel 2007 da Isfol in collaborazione con Upi e centrato su 346 casi ambiti sociali appartenenti a 16 territori regionali, ha fatto emergere che servizi domiciliari ed interventi di promozione sociale sono tipologie prevalenti di attività finanziate, segnalati in più di tre quarti delle risposte: seguono sussidi economici (63,1%), servizi semiresidenziali (62,4%) ed interventi volti a contrastare emergenze sociali (61,8%).
Le tipologie di servizio che più immediatamente possono riferirsi alla lotta all'esclusione possono identificarsi con i sussidi economici e con gli interventi volti al fronteggiamento di emergenze sociali, entrambi presenti in più di sei piani su dieci. Per quanto concerne i trasferimenti monetari, il primato di una maggiore diffusione è detenuto dalle zone del Veneto (82,4%), dell'Emilia Romagna (80,8%) e della Liguria (77,8%).

Per il futuro, occorre puntare alla realizzazione di strategie territoriali integrate: piani di azione a lungo termine con cui accostarsi alle questioni sociali, facendo perno sui territori e promuovendo l'integrazione, ovvero selezionando sul territorio le risorse attivabili e le condizioni migliori per l'attuazione degli interventi nel superamento della logica dell'emergenza.

LA QUESTIONE POVERTÀ NON È UN INCIDENTE DA POCO SVILUPPO «Se si è perso tempo, in particolare negli ultimi anni, è anche perché si è dato credito a una tesi convincente e seducente: la povertà potrà essere ridotta grazie allo sviluppo economico. In sostanza: "maggiore sviluppo economico, maggiore redistribuzione dei vantaggi di tale sviluppo, quindi meno povertà". Si tratta di una tesi che ha avuto, almeno fino al recente crack finanziario, un'indubbia capacità di convinzione e nello stesso tempo ha contribuito a rinviare un impegno responsabile per affrontare il problema». Se questa tesi fosse vera, nel Paese che, pur con molte contraddizioni e fragilità messe a nudo dall'attuale crisi dei mercati finanziari, è ai primi posti dello sviluppo mondiale - gli USA - non dovrebbero esserci 13 milioni di bambini che vivono in condizione di povertà. Se consideriamo i bambini che vivono in famiglie povere e in famiglie a basso reddito, la percentuale passa dal 17% al 39%.
«Se prendiamo in esame la condizione dei bambini poveri in quel paese negli anni dal 2000 al 2006, risulta che la povertà infantile è aumentata dell'11%, cioè 1.200.000 bambini si sono aggiunti ai già tanti costretti a crescere poveri ed emarginati (National Center for Children in Poverty, 2007). Se la tesi della riduzione della povertà, grazie allo sviluppo economico, avesse mantenuto le sue promesse, non dovrebbe essere così, anzi il contrario». Evidentemente «la questione povertà non è un incidente "da poco sviluppo". È invece fortemente radicata nelle economie occidentali».

Vittorio Nozza, direttore Caritas Italiana, e Tiziano Vecchiato, direttore Fondazione Zancan

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