Il meteorologo Richard Lindzen, del Mit di Boston, interviene a un'iniziativa del ministero dell'Ambiente: «L'influenza dell'uomo è piccola, i cambiamenti climatici hanno a che fare con la variabilità naturale: vulcani, nubi e raggi infrarossi»/
La replica di Legambiente.
Qualcuno, inevitabilmente, tirerà fuori l'appellativo di Kyoto-scettici, o quello di "revisionisti climatici". Perché l'iniziativa presa dal ministero dell'Ambiente in una decina di puntate successive per far partire una comunicazione ambientale più corretta e meno allarmistica ha già fatto discutere, visto che al primo appuntamento l'oncologo
Umberto Veronesi aveva già spiegato ai giornalisti che l'inquinamento da smog non uccide di cancro mentre il rischio è nella polenta attaccata dalle tossine vegetali. Questa volta, nel mirino del ministero ambientale e' uno degli argomenti più centrali del dibattito, quello sul clima, il protocollo di Kyoto, la responsabilità delle industrie e delle auto nel riscaldamento climatico in atto.
A rispondere a questi interrogativi, oltre il panel di migliaia di scienziati messo insieme a livello mondiale dall'Onu che a più riprese ha affermato che sì, l'effetto serra esiste, è destinato a peggiorare e la colpa è soprattutto delle attività umane, sono oggi i ricercatori e i climatologi messi assieme dal dicastero guidato da Matteoli (che però non c'è) e dal Cnr proprio nella sede dell'istituto. Così, il relatore principale, il meteorologo Richard Lindzen, viene dal Mit di Boston e non si tira indietro quando si tratta di spiegare che «l'influenza dell'uomo è piccola, i cambiamenti climatici hanno a che fare con la variabilità naturale». La responsabilità umana «non rientra nelle probabilità», quanto piuttosto «nella remota possibilità», e i numeri non mancano. Il riscaldamento climatico indotto dall'uomo è di 2,7 watt per metro quadrato, contro i 200 watt indotti da cause naturali: «Solo l'1,5% è da attribuirsi all'uomo, rispetto a tutto il resto». E tutto il resto è determinato da attività vulcanica, nubi e raggi infrarossi, cause o totalmente indipendenti dalla presenza dell'uomo nella biosfera, oppure di cui non si riesce a stabilire una relazione con l'attività umana. Quali l'aumento di areosol, di cui non si capisce l'origine. I ghiacciai alpini e polari, sì, sono retrocessi nel secolo scorso, ma mostrano «segnali di ripresa»: non sappiamo perché, spiega il
climatologo del Mit convocato dal ministero dell'Ambiente per aprire l'iniziativa "Ambiente è sviluppo" sui cambiamenti climatici. «Ci sono molte cose che in natura non si capiscono, ma è difficile dire che vengano spiegate dal cambiamento climatico». Certo, «il ghiaccio del Polo Nord si sta riducendo, e questo rappresenta effettivamente un problema», ma «la Terra è un sistema in continuo cambiamento».
E Kyoto, chiede un intervistatore meno attento alle etichette di politico o di scienziato, perché gli Stati Uniti non lo supportano? «E perché gli Usa dovrebbero sostenerlo - chiede a sua volta Lindzen - quando tutti sanno che l'accordo di Kyoto è solo simbolico, non avrà alcun effetto?». E che l'Europa lo voglia, lo scienziato americano non sa proprio spiegarselo: «Non so perché gli europei siano così entusiasti del protocollo di Kyoto. L'unica spiegazione che posso darmi è cinica: sanno che il nostro basso prezzo del petrolio ci dà dei vantaggi». E così, un po' tutti relatori dell'iniziativa, sostengono la «necessità di far ripartire la ricerca», in un mondo che a partire dall'aula convegni del Cnr pare molto meno certo che altrove: il riscaldamento è colpa dell'attività solare, spiega Roberto Buonanno dell'Università di Roma Tor Vergata, appoggiato dalle conclusioni cui arriva Franco Ortolanbi dell'ateneo di Napoli. Mentre il "meteorologo, scrittore, capo redattore di meolive.it" Alessio Grosso denuncia con forza che «i tornado in Valpadana sono una tradizione antica», altro che cambiamento in corso. E che se si fa dell'allarmismo la colpa oltre che dei giornalisti (di alcuni giornalisti) è della «quasi totale ignoranza della popolazione: il 57% degli italiani crede ancora che l'anticiclone delle Azzorre porti le piogge e il bel tempo».
La Nuova Ecologia, 21 giugno 2005