Più di 150.000 profughi del conflitto in Georgia e in Ossezia secondo le stime dell'UNHCR. 100.000 nella sola Georgia, mentre il resto è accolto nei campi profughi collocati lungo la frontiera che separa l'Ossezia del Sud (Georgia) con quella del Nord (Russia). In aiuto di queste popolazioni, su mandato della Conferenza Episcopale Italiana, Caritas Italiana, le 220 Caritas diocesane e le 25.000 parrocchie italiane continuano a mobilitarsi, non solo con l'invio di fondi, ma anche con una giornata di preghiera per la pace e di solidarietà, domenica 24 agosto o domenica 31 agosto 2008.

A Tbilisi e Kutaisi (Georgia) Caritas sta provvedendo alla distribuzione di pasti caldi a 2.660 persone al giorno, oltre a medicinali, sapone, pannolini, detersivi e al sostegno psicologico.
A Gori, dopo vari tentativi per entrare nella città, si stanno distribuendo 16 tonnellate di viveri: farina, pasta, patate, carne in scatola. Molte strade tuttavia risultano ancora bloccate, in particolare quelle che collegano il porto con la capitale, dal quale potrebbero arrivare più facilmente gli aiuti.

Laura Sheahen, operatrice in Georgia per conto di Caritas Internationalis - la rete globale di cui fa parte anche Caritas Italiana -, racconta: «I giovani volontari Caritas del posto, quasi tutti intorno ai 18 anni, lavorano dalle 8 del mattino alle 10 di sera per assicurare i pasti ai 1.800 profughi accolti nelle stanze dell'ospedale di Tbilisi.

Altri volontari girano per registrare i nominativi delle famiglie accolte in queste strutture o impacchettano da giorni centinaia di saponi, dentifrici, pannolini per bambini e altro materiale necessario per l'igiene quotidiana».

Il direttore di Caritas Georgia, padre Witold Szulczynski, ricorda però che questa emergenza durerà ancora dei mesi: «Siamo infinitamente grati per la generosità e per il grande lavoro che molte persone svolgono a favore della nostra Caritas, delle persone sfollate e dei più poveri di questa terra, ma non basta, avremo mesi e mesi di lavoro prima di tornare ad una situazione di normalità. Dove andranno questi profughi, tra un mese, due? C'è chi ha perso la propria casa e chi non vuole più tornare indietro. Come fare per aiutare i bambini a riprendere la scuola, ora che le scuole non ci sono più?».

In Ossezia del Nord continua l'accoglienza di altri profughi, mentre si fatica ad avere notizie di quanto accade in Ossezia del Sud. Vadim Naboichenko, direttore della Caritas di Rostov (Russia), dice: «Non si spara più, ma le infrastrutture sono andate distrutte: università, scuole, asili. Nella città di Tskhinvali è pericoloso muoversi perché molte sono le mine sparse nella città. La maggior parte dei profughi non potranno rientrare nelle proprie case prima della prossima primavera. Così sono stati costretti ad andare in varie città della Russia meridionale: 2.000 solo nella cittadina di Rostov». Roma , 22 agosto 2008

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