A quasi tre anni dall’approvazione del primo regolamento per la cura condivisa dei beni comuni avvenuta a Bologna nel maggio 2014, sono oggi oltre 100 gli enti locali che hanno seguito questa esperienza e che iniziano a fare un bilancio delle attività svolte sino ad ora. Di solito nei vari regolamenti approvati è previsto un periodo di sperimentazione di uno o due anni: quindi questo presuppone che, dati alla mano, si possa pensare poi come eventualmente ripartire e “rilanciare” l’esperienza avviata. (Scopri di più su: Labsus.org)
Quali attività di formazione potrebbero rispondere ai problemi riscontrati? Quale tipo di organizzazione interna all’ente potrebbe rispondere meglio alle esigenze dei cittadini attivi o ad una “regia” dell’ente locale più complessiva? Che risultati si sono ottenuti dai singoli patti? Con quale effetto sulle comunità locali, sui beni comuni, sulla qualità della vita dei cittadini? Ma per dare risposte a queste domande sarebbe opportuno non affidarsi solo a generiche valutazioni complessive, ma a dati ed informazioni raccolte sistematicamente a cominciare dai singoli patti siglati ed in cui sono racchiuse anche le regole-base delle relazioni tra cittadini ed amministrazione locale. E’ questa del resto una delle richieste che negli ultimi mesi viene avanzata da alcune amministrazioni che si rivolgono a Labsus per fare, insieme, un primo bilancio complessivo delle loro esperienze di amministrazione condivisa (AC).


Ogni patto stabilisce le regole di base della relazione tra amministrazione e cittadini

I patti di collaborazione possono infatti essere letti come un “percorso”. All’inizio i cittadini, davanti a un problema che li riguarda e che riguarda la loro comunità, si pongono in modo propositivo: sono persone che attivandosi per gestire il problema insieme, lo fanno con modi diversi da quelli cui sono abituati i funzionari ed i poteri pubblici. Certamente essi non sono “amministratori”, quindi non possono autorizzare o proibire, ma possono intervenire su una gamma di problemi in virtù del principio di sussidiarietà. Spesso ignorano quelle che potrebbero essere le diverse competenze che un ente pubblico metterebbe in gioco per la soluzione del problema stesso. Del resto è così in genere anche nel mondo del volontariato: a fronte di un problema, ci si attiva con quella “libertà” ed autonomia che l’ente talora guarda con sospetto e diffidenza per le responsabilità e le funzioni che gli competerebbero se quelle attività le svolgesse in proprio o le affidasse ad altri.

Ma i cittadini possono organizzarsi in modo diverso. Riescono talora ad avere un’efficacia delle loro attività maggiore o di qualità diversa da quella dell’ente nello svolgere talune attività, sviluppando relazioni e connessioni tra soggetti vari. E l’ente, secondo quanto previsto dalla Costituzione, ha il dovere di favorirli quando essi si attivano, in autonomia, nell’interesse generale. Quando poi si giunge, sulla base di una proposta elaborata dai cittadini, a co-progettare un patto di collaborazione, i due modi (e mondi) di operare si incontrano e confrontano, dando origine ad un tipo di rapporto di collaborazione che, valorizzando “l’autonoma iniziativa dei cittadini”, avvia una collaborazione ed un “lento”cambiamento reciproco. Ogni patto siglato stabilisce le regole base della relazione tra l’amministrazione ed i cittadini. Quindi il “focus”del patto è la relazione e, in questo caso, una relazione diversa da quella che normalmente si ha nell’ente pubblico quando produce “atti autoritativi”: qui cambiano le “regole del gioco”, sia per i cittadini che per l’ente. Cambia il loro modo di relazionarsi, di organizzarsi, di dare risposte ai problemi, di operare nel rispetto dei diversi ruoli.


Il monitoraggio e valutazione: strumento per gestire il percorso attivato e migliorare le relazioni

Il monitoraggio e valutazione dovrebbe quindi essere previsto all’interno di ogni patto come strumento che accompagna tutto il “processo”, ossia la “vita” del patto, restituendo ai soggetti elementi di riflessione e miglioramento sul loro modo di interagire, per poter gestire meglio il percorso. Il problema però è che quando noi andiamo a esaminare i patti che normalmente sono stati siglati in questi tre anni, raramente viene introdotto al loro interno il monitoraggio e valutazione (d’ora in poi M&V) e ancora più raramente questo è interpretato quale strumento che permette “la chiusura del cerchio“: cioè dall’esperienza fatta, che cosa è cambiato e cosa si potrebbe cambiare…in meglio.

Si fa riferimento, invece, in alcuni patti soprattutto a metodologie tradizionali di monitoraggio e valutazione: l’ente quindi si pone ancora in una logica di valutatore esterno, di ispezione e verifica, come se dovesse monitorare un proprio progetto affidato ad altri. Ma l’ente che promuove l’amministrazione condivisa è parte di quel patto, perché ne condivide gli obiettivi e ha stabilito, attraverso il patto le regole di quella relazione. Ciò che manca è quindi la logica di un M&V partecipato e finalizzato alla gestione e al miglioramento del percorso.

Nel senso che ogni patto ha una energia da rimettere in circolo verso l’amministrazione condivisa, avendo sperimentato e già cambiato qualcosa anche in questa direzione. Del resto, solo nel realizzare l’oggetto del patto, si ha la conoscenza reciproca dei concreti modi di operare dei soggetti: essi “apprendono” dal loro “fare” e “fare insieme” e questo apprendimento è forse uno dei risultati più importanti da monitorare. In tal senso, ogni patto è una pietra in più anche per costruire, giorno dopo giorno, l’amministrazione condivisa, orientandoil comune al cambiamento di quel paradigma “bipolare” a cui è abituato da secoli ed in cui i cittadini sono/erano spesso considerati “sudditi”.


Tre fasi del Monitoraggio e valutazione

Allora, che tipo di M&V potrebbe essere utile in questa direzione? Sicuramente un tipo di M&V che ci permetta di rafforzare il dialogo, la comunicazione tra i soggetti del patto, la loro relazione e creare il trait d’union tra i risultati ottenuti e l’innovazione successiva. Quindi nel percorso di un patto possiamo distinguere 3 fasi del M&V:

1) la fase precedente al patto, quella in cui si elabora la proposta di patto. In questa fase si chiariscono gli “interessi”di chi si attiva, ma più in generale potremmo dire “ciò che vale di più”per chi partecipa al patto. Questo è un primo passo della valutazione ex ante che ci permette di dare “valore” alle diverse aspettative, renderle esplicite, quantificarle e comunicarle ai e tra i soggetti dei patti, favorendo così la fiducia e la reciprocità;

2) durante la co-progettazione e poi la gestione del patto. E’un interesse comune ai diversi soggetti del patto, coinvolgere la cittadinanza e soprattutto chi è portatore di interessi diversi (per es: operatori economici, istituzionali, associazioni…) che in quel momento vanno a far parte del percorso e che non erano presenti magari nella fase ex-ante. Quindi i processi decisionali pubblici devono tenere conto di questi interessi e alleanze che si sviluppano con il patto. Si tratta di monitorare e “valorizzare”prevedendo incontri periodici di valutazione congiunta, partecipata, tra i firmatari dei patti, con cui vengono elaborate informazioni e indicatori di questo processo inteso anche come sviluppo partecipazione, inclusione, alleanze, nuove risorse per “l’interesse generale”;

3) E infine dopo il patto (ex post),la rilevazione dei risultati: in questa fase sarà necessario raccogliere ed elaborare dati ed informazioni per comunicare i risultati in forme abbastanza semplici, rendendo il monitoraggio un mezzo di comunicazione tra chi è interno al patto echi sta “intorno” al patto, ossia ad altri cittadini o altri dipendenti pubblici. E’ questo il momento di narrare e raccontare le esperienze, rendicontare, valutare i patti per gli altri. E’ il momento di trasmettere innanzitutto il valore aggiunto relazionale creato e le innovazioni apportate anche in termini di amministrazione condivisa.


La città sommersa

Così, mappando e monitorando tutti i “patti” realizzati sul territorio di un comune, anno dopo anno, possiamo veder emergere l’immagine di una “città sommersa”, ossia l’identità e la visione di una città condivisa che prende sempre più corpo, fisionomia. E’ un tipo di città progettata dai cittadini, che si “svela” anche alla stessa amministrazione. E’ una città diversa da quella progettata a tavolino e in cui i diversi settori e competenze dell’ente, come gli strumenti partecipativi, tendono a intrecciarsi tra di loro (per esempio: bilancio partecipato, lavori pubblici partecipati, ecc.), aprendo forse nuovi spazi di comprensione e di relazioni tra cittadini e amministrazione. Ed in questo sta la sfida e la scommessa dei patti. Ma anche parte della storia futura dell’amministrazione condivisa. L’amministrazione ha l’opportunità di divenire essa stessa regista della “città sommersa” e per tale via anche di divenire sempre più “condivisa”, se saprà e vorrà innovarsi. Come? Forse, le chiavi della città sommersa sono proprio nel monitoraggio e valutazione che, a partire dai patti, possono offrire concrete risposte ed indicazioni per la strada che ogni ente potrà percorrere.

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