Il Regolamento è una piccola cosa, ma a volte sono le piccole cose che fanno la differenza. (
http://www.labsus.org/2014/12/liberiamo-energie-con-regolamento-per-la-cura-dei-beni-comuni/)
Gregorio Arena
Il bilancio di un anno intenso dà fiducia nella possibilità che le cose cambino e che l'Italia si rimetta in cammino, anche grazie ai tanti cittadini attivi, responsabili e solidali.
Per il calendario cinese il 2014 è stato l’anno del Cavallo. Ma per noi di Labsus non ci sono dubbi,
il 2014 è stato l’anno del Regolamento! Il Regolamento, naturalmente, è quello che abbiamo scritto insieme con il comune di Bologna per dare attuazione al principio costituzionale di sussidiarietà,
un principio rivoluzionario la cui carica innovativa è stata però vanificata per anni dalla mancanza di norme di rango inferiore alla Costituzione.
Non basta infatti dire, come fa l’art. 118 ultimo comma della Costituzione, che i poteri pubblici “favoriscono le autonome iniziative dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. E’ un’affermazione rivoluzionaria perché significa riconoscere che quando i cittadini si attivano non sono utenti o amministrati, secondo le categorie del Diritto amministrativo ottocentesco, bensì soggetti responsabili e solidali che in piena autonomia collaborano con l’amministrazione nel perseguimento dell’interesse generale o, detto in altro modo, nella cura dei beni comuni.
Ma riconoscere in Costituzione il passaggio dei cittadini da amministrati ad alleati non basta, se poi invece le leggi ed i regolamenti continuano a considerarli come amministrati. La Costituzione è la bussola per orientarsi, ma per governare la barca ci vuole il timone, ci vogliono cioè leggi e regolamenti che applichino i principi costituzionali, altrimenti essi restano lettera morta, come è successo appunto alla sussidiarietà.
Un regolamento comunale per dar vita alla Costituzione
E infatti da quando nel 2001 il principio di sussidiarietà è entrato in Costituzione, pur volendo i cittadini applicarlo per prendersi cura dei beni comuni del proprio territorio, gli amministratori locali non glielo hanno consentito, temendo di assumersi responsabilità e di incorrere in sanzioni.
Ecco perché, con l’aiuto determinante dell’amministrazione del Comune di Bologna, abbiamo tradotto l’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione in un regolamento comunale di 36 articoli che il 22 febbraio di quest’anno il Sindaco di Bologna ha per così dire “regalato” a tutti i comuni italiani in
un affollatissimo incontro in Piazza Maggiore.
Dal punto di vista strettamente tecnico-giuridico la scelta, in assenza di leggi in materia, di dare attuazione con un regolamento comunale ad un principio costituzionale potrebbe sembrare azzardata. Ma come dimostra l’esperienza di questi mesi è stata invece una scelta vincente, per vari motivi.
Innanzitutto, al contrario di quella legislativa la procedura per l’approvazione di un regolamento comunale è semplice e rapida. Inoltre in questo modo ciascuno degli 8.057 comuni italiani può, se vuole, adattare il nostro regolamento-tipo alla propria realtà e questa grande varietà di situazioni porterà certamente a miglioramenti del testo. Infine, a differenza delle leggi, i regolamenti comunali sono facilmente modificabili alla luce dell’esperienza, tant’è che i regolamenti sull’amministrazione condivisa approvati finora prevedono un periodo sperimentale di applicazione al termine del quale si farà una verifica dei risultati.
La comunità del Regolamento, da nord a sud
Dal 22 febbraio 2014 ad oggi il Regolamento è stato scaricato gratuitamente dal sito di Labsus da 3.571 persone, di cui 828 amministratori pubblici, 427 rappresentanti di associazioni e 2.316 cittadini, con un’equa rappresentanza di tutte le regioni e di tutte le attività e le professioni.
Inoltre è stato adottato (in ordine cronologico) da Bologna, Siena, L’Aquila, Casal di Principe (CE), Chieri (TO), Ivrea (TO), Asciano (SI), Narni (TR), Cavriana (MN), Acireale (CT), San Tammaro (CE), Santa Maria Capua Vetere (CE), Pachino (SR), Casapulla (CE), Macchiagodena (IS), Città della Pieve (PG), Anagni (FR), Orvieto, Cortona (AR), Cogoleto (GE) . E altri 43 comuni, grandi e piccoli, al nord come al sud, stanno portando avanti in queste settimane la procedura per la sua approvazione.
Ma sono dati destinati ad invecchiare rapidamente perché ogni giorno si allungano entrambe le liste, sia quella dei comuni che hanno terminato l’iter procedurale per la sua approvazione, sia quella dei comuni che sono ancora in corso d’opera.
Perché è importante che sia approvato all’unanimità
In tutti i comuni in cui il Regolamento è stato adottato il Consiglio comunale lo ha approvato all’unanimità o, nel peggiore dei casi, con l’astensione delle minoranze. Questo è un punto molto importante, per vari motivi.
Innanzitutto l’approvazione anche da parte delle opposizioni di un Regolamento che innova in maniera così radicale i rapporti fra cittadini e amministrazione dimostra che ci sono temi, come appunto la cura dei beni comuni da parte dei cittadini stessi, intorno ai quali noi italiani, sempre pronti a contrapporci in fazioni, riusciamo invece a trovare un accordo. E non un accordo a parole, ma un accordo che produce effetti concreti.
Perché un altro motivo per cui è importante l’approvazione unanime del Regolamento sta nel fatto che la sua applicazione all’interno di amministrazioni abituate a trattare con amministrati, non con cittadini attivi, non è burocraticamente indolore. Approvare il Regolamento è una scelta politica che un numero crescente di amministratori locali sta facendo ovunque, perché i vantaggi per chi amministra sono evidenti da tutti i punti di vista. Ed è una scelta che oltretutto incontra il favore dei cittadini perché, per quanto strano possa sembrare ai professionisti della lamentela e dello sfascio, l’Italia è piena di persone che non vedono l’ora di rimboccarsi le maniche e prendersi cura, insieme con i vicini e con l’amministrazione comunale, di piazze, strade, fontane, giardini, scuole, teatri, edifici abbandonati … in altri termini, dei beni comuni, materiali e immateriali.
Le resistenze burocratiche, come superarle
I problemi, semmai, vengono dopo,
quando il Regolamento sull’amministrazione condivisa deve essere applicato, perché lì ci si scontra con le incrostazioni di potere, le chiusure mentali, la diffidenza e anche la pura e semplice pigrizia di dipendenti pubblici che non ne vogliono sapere di riconoscere nei propri concittadini dei soggetti attivi, preferendo di gran lunga mantenerli nella (per loro) comoda posizione passiva di utenti ed amministrati.
Ma se il Regolamento è stato approvato dal Consiglio comunale all’unanimità chi in quel momento è in Giunta può farsi forte del sostegno di tutte le forze politiche per superare questo tipo di resistenze. E a quel punto coloro che negli uffici pensano di usare la tecnica della resistenza passiva sanno che anche le forze politiche che in quel momento sono in minoranza, una volta diventate maggioranza, vorranno applicare il Regolamento che hanno votato. Insomma, se la politica sa essere determinata, questa volta la tattica burocratica del rinvio non dovrebbe funzionare.
Infine, il voto unanime sul Regolamento è importante perché può consentire al modello dell’amministrazione condivisa di diventare strutturale. L’obiettivo strategico cui noi miriamo consiste infatti nel rendere l’Ufficio per i rapporti con i cittadini attivi, che ogni comune che ha adottato il Regolamento dovrebbe istituire per gestirne l’applicazione, un ufficio come tutti gli altri, come l’ufficio protocollo o l’Urp, che nessuno si sognerebbe di eliminare solo perché è cambiata la maggioranza.
E’ in corso un cambiamento culturale profondo
Il Regolamento è una piccola cosa, rispetto ai problemi del Paese. Ma a volte sono le piccole cose che fanno la differenza, se sono in sintonia con i grandi cambiamenti nel modo di pensare di tante persone. E il Regolamento, ce ne siamo resi conto girando l’Italia in questi mesi, è in sintonia con un cambiamento culturale profondo, che al momento riguarda una minoranza di cittadini, ma che potrebbe in tempi relativamente brevi diventare un fenomeno molto più ampio, liberando le infinite preziosissime energie nascoste nelle nostre comunità.
Fino a pochi mesi fa in tutti gli incontri pubblici prima o poi inevitabile arrivava la domanda: “Io pago le tasse, rispetto le leggi, sono un bravo cittadino, perché mai dovrei prendermi cura io del giardinetto pubblico sotto casa o della scuola di mio figlio? Che lo faccia lo Stato!”.
Noi rispondevamo così: “Lei ha perfettamente ragione, ha diritto di esigere dalle istituzioni che facciano il proprio dovere e non è tenuto a prendersi lei cura della sua città. Ma se altri abitanti del suo quartiere vogliono invece prendersi cura dei luoghi in cui vivono, integrando gli interventi pubblici per migliorare la qualità dei beni comuni di cui tutti voi usufruite, perché impedirglielo? Oggi, infatti, se dei cittadini si prendono cura dei beni comuni incorrono in sanzioni. A questo appunto serve il Regolamento, a legittimare i cittadini attivi”.
Ora è (quasi) normale essere un cittadino attivo
Quella domanda da qualche tempo non ci viene più posta. Certo, chi partecipa ad un incontro sul nostro Regolamento è già in qualche modo selezionato. Ma si capisce da tanti segnali, comprese le mail che arrivano a contatti@labsus.net, che essere cittadino attivo ormai è considerata da molti una cosa normale. Quello che colpisce insomma è l’atteggiamento delle persone, interessate a capire “come” si fa a prendersi cura dei beni comuni del proprio territorio. Che si faccia, lo danno (quasi) per scontato.
E questo probabilmente spiega il grande interesse verso il Regolamento, perché nella sua semplicità è la risposta più efficace alla domanda: “Come posso prendermi cura dei beni comuni della mia città, così da migliorare la qualità della mia vita?”.
Sovrani e responsabili, non supplenti
Sembrerebbe, insomma, che molti italiani abbiano capito che, come diciamo noi di Labsus: “Il tempo della delega è finito” e abbiano deciso, in maniera del tutto autonoma, di assumersi la responsabilità della cura dei beni comuni materiali e immateriali presenti nei luoghi in cui vivono.
Perché l’altro aspetto fondamentale di questo grande cambiamento culturale sta appunto nell’attivarsi autonomo di persone che non si sentono né si comportano come supplenti che rimediano ad inefficienze dell’amministrazione pubblica, bensì come cittadini che si riappropriano di ciò che è loro. Perciò lo fanno con entusiasmo, allegramente, approfittando dell’occasione per stare insieme con gli amici ed i vicini di casa, con quel gusto tutto italiano per la convivialità che è una delle nostre caratteristiche migliori. E tutto questo non soltanto è bellissimo in sé, ma liberando le energie presenti nelle nostre comunità dà un contributo fondamentale alla ricostruzione del nostro Paese.