La capacità di un sistema, una comunità o una società esposti a catastrofi di resistere, assorbire, adattarsi e riprendersi dagli effetti di una catastrofe in maniera efficiente e tempestiva, attraverso la protezione e il ripristino delle sue strutture e funzioni essenziali. (
http://www.labsus.org/2015/05/cittadini-attivi-come-fattore-di-resilienza-dei-territori/)
Luigi Ferrara - Francesco RotaIl 2015 è stato definito l’anno della resilienza dai vertici dell’United Nations Office for Disaster Risk Reduction (UNISDR). Nel decennale del terremoto di Kobe, fu approvato nel vertice ONU di Hyogo in Giappone del 2005 il Quadro d’azione per costruire la resilienza delle nazioni e delle comunità alle catastrofi. A marzo di quest’anno, si è svolta a Sendai, sempre in Giappone, la terza conferenza mondiale ONU sulla riduzione dei disastri, e sono stati approvati una profonda revisione dello Hyogo Framework e un nuovo piano d’azione per i prossimi anni.
Ma cosa si deve intendere per resilienza? L’UNISDR ha definito la resilienza come la capacità di un sistema, una comunità o una società esposti a catastrofi di resistere, assorbire, adattarsi e riprendersi dagli effetti di una catastrofe in maniera efficiente e tempestiva, attraverso la protezione e il ripristino delle sue strutture e funzioni essenziali. Anche l’UE, nella Comunicazione COM(2014)216 dell’aprile 2014, ha avuto modo di analizzare le problematiche connesse all’attuazione dello Hyogo Framework, in un quadro normativo europeo dove l’espressione resilienza assume spesso diversi significati.
Le diverse accezioni di resilienza
Del resto, è veramente notevole la multiformità delle sue accezioni nelle diverse scienze, che hanno portato l’Accademia della Crusca a parlare di elasticità della resilienza. Può riguardare le persone, le banche, le comunità, le organizzazioni, le regole, i poteri pubblici.
Il punto di partenza sono le scienze dure. Si indica con resilienza la capacità di un materiale di resistere a un urto, assorbendo l’energia che può essere rilasciata in misura variabile dopo la deformazione. Non è quindi un sinonimo di resistenza: il materiale resiliente non si oppone o contrasta l’urto finché non si spezza, ma lo ammortizza e lo assorbe, in virtù delle proprietà elastiche della propria struttura di riassumere la forma originaria dopo la deformazione.
In Italia, si deve forse all’illuminista A. Genovesi, a metà Settecento, la traslazione della resilienza alle passioni umane, dotate di “forza elastica e resiliente”. Negli anni ’50 del secolo scorso, le scienze psicopatologiche e cognitive mutuano l’espressione per individuare le persone resilienti, soggetti in grado di superare crisi e fattori di rischio ricostruendo positivamente la propria personalità in un processo di adattamento e di educazione. All’inizio degli anni ’70, l’espressione trasla nell’ecologia per indicare la capacità degli ecosistemi di reagire ed assorbire le catastrofi raggiungendo nuovi equilibri, anzi multipli equilibri locali. Il ritorno alla “forma originaria” non si configura più come omeostasi, ma allostasi, mantenimento della stabilità attraverso il cambiamento.
Negli anni ‘80 la resilienza diviene oggetto di studio delle scienze sociologiche/organizzative. Dalla resilienza personale, si passa a teorizzare la resilienza organizzativa. Al verificarsi degli shock, l’efficiente delimitazione delle competenze, la condivisione di valori, la disponibilità all’apprendimento continuo e condiviso, la vigilanza collettiva qualificano il grado di resilienza delle organizzazioni e degli apparati.
Agli albori del nuovo secolo l’espressione trasla nelle scienze economiche, per indicare la capacità dei sistemi economici di reagire alle catastrofi e alle crisi economiche, proteggendo i consumatori e riorganizzando le sue strutture produttive, le dinamiche dei mercati, le politiche di sviluppo.
La resilienza e le politiche pubbliche
La dinamica opposta alla resilienza diviene la vulnerabilità del sistema. Vengono elaborati misure e indici di resilienza e di vulnerabilità, che nella maggior parte dei casi corrispondono a specifiche politiche pubbliche, procedimenti amministrativi, fenomeni di buona/cattiva amministrazione (ad esempio, progressività e decentramento della tassazione, politiche del lavoro e redistributive, aiuti di Stato, corruzione, appalti pubblici e infrastrutture, trasporti, servizi pubblici, trasparenza e partecipazione amministrativa, celerità dell’azione amministrativa, gestione del patrimonio pubblico, investimenti nell’innovazione, governo dell’ambiente, sanità e istruzione). Una buona parte della riflessione economico-finanziaria (e una significativa produzione di atti dell’UE) si concentra infine sulla resilienza delle banche e sui sistemi di protezione del credito.
Le scienze filosofiche hanno cercato di spiegare il binomio tra resilienza come costruzione della personalità e governo politico della resilienza, mutuando le categorie foucaultiane della biopolitica. La costruzione della personalità resiliente è una dinamica di disciplina del corpo. Le opzioni politiche della resilienza contribuiscono a delineare i modelli di democrazia e cittadinanza.
Queste riflessioni sono centrali soprattutto allorché tra gli shock annoveriamo fenomeni come l’immigrazione, il calo demografico, il fondamentalismo religioso. Le opzioni politiche per rafforzare la resilienza diventano contrastanti, muovendosi da un lato sul terreno della coesione e integrazione sociale (in tal senso, nella mole eterogenea degli atti UE che richiamano la resilienza, cfr. il Regolamento UE 1303/2013 sui fondi strutturali o la Comunicazione COM(2014)335, sull’eliminazione della povertà), dall’altro nell’ambito tradizionale dell’ordine pubblico e degli approcci securitari (ancora in sede UE, cfr. la Comunicazione COM(2014)154, in tema di immigrazione e la lettera all’Italia del 2014 sulla stabilità del nostro sistema, SWD(2014)413).
Infine, i pochi e recenti approcci delle scienze giuridiche stanno cercando di mutuare tutti questi profili e oggetti di indagine. Si parla anche di resilienza degli ordinamenti, con riferimento al sovrapporsi di regole di provenienza diversa (globale, europea, nazionale, regionale, locale) in continua frizione.
La resilienza delle comunità locali
Una recente ricerca in atto, promossa dall’Istituto Sassone per le infrastrutture Culturali (www.kultur.org) con molte Università europee (tra cui l’università di Napoli), sta cercando di focalizzare il tema della resilienza nelle città medie al cospetto del brain drain, i flussi verso le grandi conurbazioni, la crisi economica, la riorganizzazione del governo locale in Europa, l’immigrazione e le prospettive del multiculturalismo.
Per l’Italia (ma è un patrimonio comune delle Costituzioni europee del dopoguerra), si deve muovere dal portato degli artt. 2 e 3, che definiscono la garanzia dei diritti fondamentali come “percorso di costruzione” (o di ricostruzione) della personalità. Le dinamiche della resilienza si muovono così sul piano del riconoscimento dei diritti fondamentali. La costruzione di comunità resilienti, fondate sul dovere di solidarietà della persona, va inoltre operata coerentemente con l’art. 4, comma 2, Cost., con il dovere dei cittadini di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Rafforzare la resilienza dei territori muove da qui, dalla necessaria prospettiva di democrazia partecipativa e di cittadinanza attiva che informi la riforma del governo locale (oggetto in questi ultimi mesi di profonda risistemazione in Francia e in Italia), ridimensionando le opzioni securitarie, il ricorso agli strumenti di ordine pubblico e i provvedimenti eccezionali. Non è lo “stato di eccezione” che costruisce comunità resilienti al cospetto degli shock.
La partecipazione però deve essere effettiva e reale, non un formale esercizio di garanzie, capace di influenzare i processi decisionali, promuovere la riduzione delle disuguaglianze, l’affermazione delle capabilities, garantire il ruolo dei cittadini nella cura dei beni comuni.
In questo senso rafforzare la resilienza impone procedure conoscibili e pubbliche di partecipazione degli interessi, condivisione delle esperienze di cittadinanza e di best practices.
La resilienza è fenomeno di ricostruzione di personalità individuali, di identità collettive, di apparati pubblici. Entra nel cuore della dinamica della discrezionalità di una pubblica amministrazione aperta al servizio dei cittadini, aiutandoci a capire e governare le criticità dei suoi processi.