Pare che davvero la chiamino “humanufacturing”. L’automazione manifatturiera dal volto umano, proposta dal Comau, è un gioco di parole ma ha radici nella tradizione piemontese. Maurizio Cremonini, capo del marketing di Comau, spiega che le persone delle fabbriche del futuro sono chiamate ad avere specializzazioni forti e apertura mentale ampia. «Una volta gli informatici stavano nei centri di elaborazione dati e la gente della produzione stava in fabbrica. Ora si devono parlare e lavorano insieme. Occorrono specializzazioni e apertura». (Scopri di più su: Generatività.it)
  • di Luca Di Biase
Ma come si fa a risolvere l’apparente contraddizione? «Pensare, realizzare, far funzionare l’architettura della fabbrica oggi è un lavoro complesso che richiede fortissime competenze tecniche. Ma le tecnologie evolvono velocemente e le pur necessarie specializzazioni diventano obsolete: senza una preparazione ampia è difficile stare al passo». È un grande salto culturale. Per questo Comau ha messo da molto tempo in piedi un’Academy: insegna ai manager a valutare le competenze specialistiche, insegna e aggiorna il sapere tecnico, investe sull’insegnamento della robotica a scuola. Comau ha una storia lunga e guarda lontano visto che si rende conto di come il progresso tecnologico e l’evoluzione culturale siano processi inscindibilmente connessi. Senza competenza non c’è adozione dell’innovazione.

E questo perché, come sappiamo da tempo, il digitale cambia la relazione tra la conoscenza e il lavoro. Sono passati quasi vent’anni dalla pubblicazione de Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro di Ulrich Beck. Il sottotitolo dell’edizione italiana, curata da Einaudi, era Tramonto delle sicurezze e nuovo impegno civile: la prima parte della frase si è avverata. Il corpo del libro era dedicato all’analisi di scenari collegati all’emergere di un’economia basata sull’informazione. La discussione non si è molto allontanata dalle questioni sollevate da Beck: l’informatica modifica le logiche del lavoro, mette in discussione i posti di lavoro tradizionali, aumenta le possibilità di progettare forme di lavoro inquadrate in un’economia attenta alla sostenibilità, ma suggerisce anche forme di autoimpiego che si alternano tra la retorica dell’”imprenditore di sé stesso” e la trappola della “flessibilità precaria”. Certo, Beck non vede questi scenari come gli unici possibili: esistono anche le logiche dell’accompagnamento alla trasformazione del lavoro, di stampo nord-europeo, con politiche attive orientate a una presa in carico collettiva delle necessità di ciascuno nel percorso di adattamento al nuovo scenario. In tutti i casi, per Beck, il possibile risultato del processo non è una società senza lavoro, ma una trasformazione del lavoro.

Con l’esperienza fatta da allora i temi, le alternative di Beck si sono dimostrate realistiche. E il lavoro del futuro si legge anche come alternativa tra la parcellizzazione e la collaborazione ecosistemica. L’interpretazione delle opportunità è decisiva. Da questo punto di vista occorre un grande balzo concettuale: e il ruolo dell’intellettuale diventa parte integrante della creazione di valore necessaria ad affrontare l’epoca attuale. Lo sottintende Mauro Magatti, autore di Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando il futuro (Feltrinelli, 2017): il sottotitolo sembra voler dire che “pensare il futuro” è lo strumento per uscire dalla crisi. Per Magatti, la relazione tra macchine e posti di lavoro non si risolve se non cambiando le categorie interpretative. La distinzione tra il lavoro e il resto della vita sta venendo meno. Le attività dei consumatori diventano a loro volta “lavoro” se producono ricchezza e denaro, come avviene generando per esempio i big data monetizzati da grandi centrali di gestione dell’informazione. «Non abbiamo visto che l’inizio della società digitale», dice Magatti. «Da quando internet è stata introdotta nei primi anni Novanta sono state gettate solo le premesse per la creazione di una nuova organizzazione sociale. Adesso si è pronti per un vero e proprio salto di qualità. Nei prossimi anni, con quello che si chiama “internet of things” e la “fabbrica 4.0” molte cose sono destinate a cambiare radicalmente». Emerge la necessità di approfondire due scenari: “efficienza per sicurezza” e “sostenibile contributivo”. Il primo scenario è descritto dal grande pensatore francese Bernard Stiegler con il termine “grammatizzazione”: «L’insieme delle dinamiche di registrazione, formalizzazione e discretizzazione che permettono l’archiviazione e la riproducibilità di gesti e linguaggi» che il digitale porta alle estreme conseguenze. «Per questa via, la soluzione alla crisi nella quale ci troviamo potrebbe prendere la forma di un neotaylorismo digitale». Quello che per il sociologo Antonio Casilli conduce gli umani a lavorare al servizio delle macchine. L’altro scenario, invece, discende dalla «convinzione, come ha di recente ricordato Joseph Stiglitz, che l’unica prosperità possibile è quella condivisa». E la chiave di tutto è nella sostenibilità.

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