Due anni di “Costruire comunità, liberare energie“: due anni intensi di ascolto, scambio, racconto, in giro per la Lombardia. Due anni di sperimentazione, per Labsus e per i diversi comuni coinvolti, che hanno aperto nuove finestre di riflessione sull’amministrazione condivisa dei beni comuni. (Scopri di più su: Labsus.com)
I beni comuni presi sul serio, l’evento conclusivo in programma a Milano il 29 settembre, è l’occasione per illustrare e soprattutto discutere i risultati di questo progetto, unico nel suo genere: promosso da Labsus e sostenuto con risorse extrabando da Fondazione Cariplo, Costruire comunità, liberare energie è stato il primo progetto su scala regionale ad aver messo al centro i beni comuni e la loro cura.

Il lavoro ha coinvolto con diverse modalità i territori di Monza, Cinisello Balsamo, Pavia, Cremona, Bergamo, Brescia, San Donato Milanese, Lodi, Sesto San Giovanni, Varese. Dopo una prima fase di accompagnamento all’elaborazione, condivisione ed approvazione del Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, il focus è stato rivolto all’attivazione delle comunità, coinvolgendo centinaia di cittadini di diverse età, formazione e provenienza, nella proposta, co-progettazione e stipula di patti di collaborazione. I laboratori civici, momenti di scambio ed elaborazione che hanno rappresentato il cuore del progetto, hanno consentito il confronto di cittadini attivi, organizzazioni, politici eletti e dipendenti pubblici in un ambiente non istituzionale, svelando ai partecipanti stessi che prendersi cura dei beni comuni significa prendersi cura dell’ambiente, della cultura, della memoria: del futuro stesso del proprio territorio.


La collaborazione possibile (e necessaria)

Come sintomo di un sentire diffuso della necessità di cambiamento, l’espressione “beni comuni” è stata ed è tuttora, come scrisse Stefano Rodotà in un suo bel commento su La Repubblica, soggetta ad un uso “inflazionistico”, con tutti i rischi di svuotamento semantico e politico del caso. Cercando di contrastare questa tendenza, Labsus ha fatto di questa sfida la sua mission: comunicare al maggior numero di persone possibile che i beni comuni vanno presi sul serio. Perché lontani dagli slogan elettorali, dai trend topics sui Social, ci sono Giuseppe, Marco, Laura che si attivano in prima persona mettendo a disposizione idee, tempo, competenze nell’interesse generale. Per migliorare rispettivamente Pavia, Monza, Varese con la pratica, facendolo insieme ad altri: dando nuova veste e significato ad uno spazio abbandonato, rimettendo a posto un campetto da basket, arredando e animando una strada degradata… creando comunità.

Ma i cittadini attivi non sempre sono lasciati soli: in tanti, ormai tantissimi comuni d’Italia, dai più grandi ai più piccoli, il numero di eletti e funzionari che crede in un modo diverso di amministrare le città, che si oppone dall’interno alla gelosia istituzionale nei confronti dei cittadini “troppo” attivi, che si scontra con i colleghi timorosi e sospettosi di ogni novità, è in costante aumento. Insieme a Giuseppe, Marco, Laura, ci sono Alice, Manuela, Dino: hanno ruoli diversi, responsabilità diverse, competenze diverse, interessi (anche quelli) diversi. Eppure, hanno un obiettivo comune: tutti vogliono migliorare la qualità di vita del proprio territorio.

Cittadini e istituzioni possono e devono collaborare, perché la responsabilità di cura verso i beni comuni è universale. E perché la complessità del contemporaneo non può che trovare soluzioni nelle alleanze articolate, diffuse, policentriche che riusciamo di volta in volta a costruire.

I beni comuni, in quanto tali, vanno presi sul serio, scriveva il sociologo Carlo Donolo, recentemente scomparso: per questo il confronto deve essere il più trasversale e aperto possibile, perché l’amministrazione condivisa dei beni comuni conviene a tutti, e tutti possiamo contribuire per renderla effettiva.

L’evento del 29 settembre vuole essere allora la sede di questa riflessione aperta, invitando tutti i partecipanti, suddivisi in tavoli di lavoro, a confrontarsi su quattro aspetti, tanto complessi quanto rilevanti, dell’amministrazione condivisa: Tavolo 1 – beni comuni, catalizzatori di persone e organizzazioni; Tavolo 2 – il comune, dai progetti ai processi per l’interesse generale; Tavolo 3 – strumenti condivisi, per abilitare persone e organizzazioni; Tavolo 4 – investimenti, per valorizzare relazioni, saperi e competenze diffuse.


Beni comuni, catalizzatori di persone e organizzazioni

L’esperienza di questi anni di lavoro in tutta Italia ci ha mostrato che il confronto attorno alla cura condivisa dei beni comuni genera un clima molto diverso da altri ambiti di confronto tra cittadini e istituzioni. Prima di tutto perché l’interlocutore istituzionale non è il soggetto che regola (permette/impedisce) ma un alleato che facilita le attività dei cittadini. Allo stesso tempo i cittadini non partecipano portando opinioni (per rivendicare/precisare/definire) ma proposte pratiche per risolvere problemi che riguardano tutti: le risorse quindi non sono “attese” da parte delle istituzioni ma vengono “offerte” dai cittadini attivi presenti sul territorio. Le modalità di sostegno delle iniziative, in secondo luogo, non sono competitive in quanto non c’è nessuno che viene premiato o punito con l’assegnazione o meno di risorse pubbliche. Quindi dal lato del soggetto pubblico non c’è ragione di selezionare perché più iniziative hanno luogo, meglio è. E per lo stesso motivo non ci sono gelosie né concorrenza dal lato dei cittadini.

Nelle sedi di incontro e scambio si genera quindi una sorta di “coralità civile”, in cui il confronto è aperto e propositivo ed in cui si producono letture e visioni riguardanti il futuro dei territori capaci di cogliere la loro identità e trasformarla in fattore di sviluppo locale. Le sedi di questo scambio collettivo possono essere momenti promossi dall’ente pubblico o auto convocati dai cittadini e in alcuni casi possono avere dei punti di riferimento fisici. La loro sostenibilità dipende da quanto queste sedi saranno in grado di evitare il rischio del “club” e saranno quindi capaci di rinnovarsi e aprirsi continuamente ad altri interlocutori.


Il comune, dai progetti ai processi per l’interesse generale

Una delle condizioni per l’attuazione efficace del Regolamento per i beni comuni è il radicamento di una nuova modalità di pensare la relazione tra cittadino e struttura tecnica dell’ente locale. La stipula di un patto di collaborazione, per quanto semplice, prevede di solito il coinvolgimento di più settori. Per questo è importante che i nuovi concetti e le nuove modalità di svolgimento delle procedure siano condivisi con i funzionari di diversi settori a diversi livelli, sin dall’inizio.

In questa riflessione che attraversa il comune in verticale ed orizzontale si incardina la delicata operazione di istituzione del nuovo ufficio di interfaccia con i cittadini attivi, che per sopravvivere ai possibili cambi di amministrazione deve essere solido e composto da figure autorevoli e competenti con esperienza di relazione con i cittadini. Questi cambiamenti interessano più in generale un passaggio cruciale: da un intervento sui territori che procede “per progetti”, inevitabilmente definiti dai tempi e dalle modalità delle politiche settoriali (non solo locali) e proposti da istituzioni e organizzazioni, a “processi” in cui il soggetto che propone è il cittadino attivo, anche insieme ad altri ed alle realtà organizzate, che agisce in assenza di vincoli e senza chiedere (se non in minima parte) risorse.

È anche per gestire questo passaggio dai “progetti ai processi” che i comuni si devono attrezzare per definire nuove modalità di intervento, nuovi spazi di relazione, nuovi meccanismi di raccolta e rilancio delle esperienze che, tutte insieme, in un crescendo, si riferiscono all’interesse generale.


Strumenti condivisi, per abilitare persone e organizzazioni

L’esigenza di immaginare una modalità sostenibile di attuazione del Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni ha dato luogo a idee che pongono al centro (o soltanto considerano) strumenti nuovi, la cui gestione non è affidata in via esclusiva al comune, ma a cui partecipano anche organizzazioni di Terzo settore (in particolare di secondo livello) e a volte anche soggetti privati profit. L’efficacia del modello dipende infatti spesso dalla messa in gioco di saperi, competenze e reti diversificate: come sempre in questo modello, ciò accade non “per forza” ma “per piacere” (o per statuto), per interesse e per adesione ai valori dell’amministrazione condivisa. Sicuramente la capillarità dell’informazione e la possibilità di restituire la ricchezza delle singole esperienze al territorio dipende dalla partecipazione di realtà di natura diversa. In alcuni casi anche l’interfaccia pensata per accogliere le idee dei cittadini attivi (l’ufficio) può essere gestita da soggetti diversi dal comune: organizzazioni di Terzo settore, di primo e secondo livello, o anche da gruppi di cittadini. In altri casi emerge il ruolo che può essere svolto dagli strumenti digitali nel favorire la comunicazione a diversi livelli e facilitare l’emersione di risorse (umane, ma anche economiche), rendendo più evidente la dimensione ludica del meccanismo di adesione.


Investimenti, per valorizzare relazioni, saperi e competenze diffuse

La cura condivisa dei beni comuni ha una caratteristica particolare rispetto ad altri campi di intervento: si basa sulle risorse messe volontariamente a disposizione dai cittadini attivi e di solito richiede investimenti “a bassa intensità di capitale” (es. il rimborso spese per il materiale utilizzato). Non sempre i grandi investimenti e i grandi progetti sono utili per lo sviluppo di questi interventi “micro-civici”, poiché gli attori, i progetti e i meccanismi di realizzazione hanno un’altra “taglia” rispetto ai gruppi informali ed ai singoli cittadini che hanno a cuore la loro qualità di vita e la vivibilità dei loro territori.

In alcuni territori gli attori “forti” hanno però riconosciuto la strategicità del modello radicale di cura condivisa dei beni comuni e sono stati in grado di “fare funzionare meglio” il sistema delle relazioni, dei saperi e delle competenze diffuse sui loro territori. Risorse economiche da un lato e attitudine a sperimentare un modo nuovo di pensare e realizzare i progetti sono state le leve per costruire le condizioni per una cultura dell’amministrazione condivisa dei beni comuni. Ponendo al centro i cittadini attivi, i progetti che si sono concentrati sulla conduzione dei processi hanno anzi dato effetti immediati e operativi, generando azioni che non necessitano di altri finanziamenti.

I progetti hanno diffuso la cultura della “possibilità” (di attivarsi, di partecipare, di generare cambiamento), hanno sostenuto in modo leggero e motivato i protagonisti perché le iniziative avessero continuità, hanno abilitato le persone a condividere la loro esperienza per coinvolgere altre persone, ed altri attori.

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