Diceva Pierre-Joseph Proudhon che la proprietà è un furto. E molti che celebrano la fortuna di internet sarebbero pronti ad assentire. La proprietà intellettuale, arcignamente difesa di fronte ai tribunali, sarebbe la sfida di retroguardia lanciata contro la socializzazione del sapere. (Scopri di più su: Che-Fare.com)
Fino a ieri questa impostazione anarchica dei rapporti tra mezzo – internet – e bene – l’opera protetta da copyright – sembrava godere del vento in poppa. Chi agitava convenzioni vecchie di un secolo per reclamare la tutela della propria creazione era visto quale difensore di un verbo antidemocratico. Battaglia persa prima di essere cominciata? Ebbene no: può darsi che il vento stia girando in una direzione che ripristina il senso comune, smentendo Proudhon.

Comunicare al pubblico opere protette è furto di una proprietà. A gridarlo sono i giornali Usa: circa 2000 testate, con Washington Post, New York Times, Wall Street Journal capifila, hanno dato vita alla News Media Alliance e si sono rivolti al Congresso per protestare contro l’accaparramento della pubblicità online da parte dei giganti del web, Google e Facebook soprattutto, accusati di prosperare aggregando gratis le notizie pubblicate dalla carta stampata, sempre più disertata dagli investitori pubblicitari.

La raccolta pubblicitaria online negli Usa vale attualmente circa 73 miliardi di dollari all’anno, in larghissima parte appannaggio dei “padroni” dei Big Data, mentre quella rastrellata dai giornali tradizionali è scesa in pochi anni da 50 a 18 miliardi di dollari. L’allarme riguarda anche le testate europee, come testimonia l’accordo tra Le Monde e Le Figaro per gestire insieme la pubblicità online e il processo di concentrazione in corso da tempo in Italia, dove negli ultimi cinque anni la raccolta pubblicitaria di quotidiani e periodici è calata di quasi il 50% (-6% nel 2016), in aggiunta alla diminuzione pari al 43% delle copie vendute nello stesso periodo. Nel mentre, la pubblicità online cresce da noi a due cifre (+ 15% nel 2016).

Risulta chiaro che avendo a disposizione gratuitamente, quotidianamente, moltissimi articoli giornalistici presso le piattaforme online, l’incentivo ad acquistare i giornali che li producono cala drasticamente (tenderà a zero per i millennial) scemano le copie vendute e il loro appeal pubblicitario, innescando una spirale distruttiva per la stampa tradizionale e la qualità dell’informazione.

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