Intervista a Mario Capanna: "Il pensiero come antidoto ad ogni fondamentalismo". Proponiamo un'intervista a Mario Capanna, leader del movimento studentesco del Sessantotto. (Scopri di più su: BeneComune.net)
Nel suo percorso di vita Lei ha attraversato diverse esperienze sociali e politiche da quella di leader del movimento studentesco del Sessantotto a segretario nazionale di Democrazia Proletaria. Alcune delle idee che hanno ispirato le sue scelte sono state giudicate estreme? Come pensa al riguardo.

In premessa: considero fuorviante la categoria di “pensiero estremo”. Esempio: quando Galileo dice (e dimostra) che è la terra a girare intorno al sole (non viceversa, come si era creduto per millenni) esprime un “pensiero estremo” o, invece, un pensiero aderente alla realtà? Eppure evita il rogo per un pelo, grazie alla triste abiura, per aver detto la verità. E’ il fondamentalismo dei suoi critici a poggiare sul falso. Sicché: un pensiero o è vero o è infondato. O è agganciato alla realtà oppure ne costituisce il travisamento. Il fondamentalismo, in ogni sua variante, è il tradimento del pensiero reale, proprio perché, nella sua unilateralità, si preclude la visione effettiva delle cose e delle loro interrelazioni. Il “pensiero unilaterale” mi pare una categoria più precisa rispetto a quella di “pensiero estremo”.

Oggi lo sport preferito è quello di vedere la pagliuzza nell’occhio altrui, anziché la trave che è nel nostro. Per “nostro” intendo la cultura occidentale, la visione dominante che oggi regola il mondo. La dittatura del profitto ci ha portato agli attuali risultati: l’economia dell’1 per cento – l’1 per cento dell’umanità detiene il 99 per cento della ricchezza planetaria; la terza guerra mondiale a tappe, secondo la calzante definizione di papa Francesco; la globalizzazione dei più forti contro i più deboli; i mutamenti climatici che, secondo i 2500 scienziati che, all’unanimità, hanno redatto per l’Onu il rapporto in proposito, hanno portato l’umanità “alle soglie dell’irreversibile”, pregiudicandone seriamente il futuro.

Nel frattempo è ripresa la corsa agli armamenti e all’aumento delle spese militari. Tutto questo indica la follia dell’irrazionalità contemporanea. Un esempio, fra mille possibili: è l’Onu a documentare come, con l’attuale capacità di produzione agroalimentare, potremmo sfamare il doppio della popolazione del pianeta. Ma, poiché i poveri non possono pagare l’acquisto di cibo, preferiamo tenerli nella fame e nella denutrizione. Non è, questa, la più spaventosa arma di distruzione di massa? Se applicassimo oggi le regole del processo di Norimberga, quasi tutti i leader dei paesi opulenti finirebbero impiccati…

Delle migliaia di miliardi di dollari, euro ecc., movimentati per via telematica nell’arco delle 24 ore, ben il 95 per cento è finalizzato alla speculazione (tramite i giochi di Borsa, i differenziali dei tassi di interesse ecc.) e solo il 5 per cento è destinato alla compravendita di beni reali, derrate alimentari, materie prime, macchinari ecc.

La finanziarizzazione dell’economia dell’1%, basata sull’idea di produrre denaro dal denaro, comporta la distruzione di immense energie produttive. Proprio riferendosi a queste dinamiche, papa Bergoglio ha affermato: “Questa economia uccide”. Modestamente, nei miei scritti lo vengo sostenendo da tempo.

L’alternativa al profitto esiste, ed è operante. Le produzioni e i commerci equi e solidali si basano sull’onesto guadagno, ripartito, senza sfruttamento, tra chi produce, chi trasforma, chi trasporta, chi distribuisce e vende. E sono l’unico settore in crescita, sia nei paesi sviluppati sia in quelli mantenuti nel sottosviluppo, soprattutto dopo la crisi globale che frusta il mondo dal 2008. Dunque il problema è solo politico: non si vuole abbandonare la vecchia strada per la nuova. Nel mio percorso di vita, colturale e politico, mi sono sempre mantenuto fedele a queste idee. Ovvio che siano state giudicate estremistiche dai vari padroni del vapore. Ma sono state (e sono) tali o, invece, improntare a ideali di equità, di pace, di solidarietà?

Il ‘68 ha preso di mira, senza mezzi termini, attraverso una critica forte e a tratti estrema, fondamentali nuclei della vita: la scuola, la famiglia, i rapporti sessuali, la tradizione. Per quale motivo? Quali conseguenze ha avuto questa operazione?

Il Sessantotto ha dato vita alla “contestazione globale”: la messa in discussione di tutto e la costruzione di un altro universo di riferimento. Il termine latino contestatio significa affermazione. Non negatività, dunque, ma indicazione alternativa rispetto all’esistente. Il significato maggiore del Sessantotto – al di là delle conquiste sociali, civili, politiche – è che c’è stato: perché d’allora l’umanità sa che cambiare il mondo è possibile. Grazie alla simultaneità planetaria del Sessantotto, vaste masse, sotto ogni cielo, mobilitandosi in lingue diverse ma con accenti simili, hanno toccato con mano, per diretta esperienza, che si possono costruire nuovi valori e nuovi rapporti fra le persone e fra i popoli. Il Sessantotto è la coscienza globale che affiora, e fa emergere quella “coscienza di specie”, come la definiva Ernesto Balducci, necessaria affinché l’umanità costruisca il proprio futuro di autodeterminazione. Quella “epifania della molteplicità” (Umberto Eco) e quella “iperventilazione di idee” (Marco Paolini) hanno fatto sì che dopo nulla è più stato uguale a prima. Ecco perché il discorso continua, e metterlo a tacere è impossibile.

Secondo lei perché e come nasce un pensiero estremo in ambito sociale e politico? Un pensiero estremo è sempre negativo o può essere anche un fattore di cambiamento sociale e politico positivo?

Il fondamentalismo produce mostri ed è, per sua intrinseca logica, negativo. Ogni fondamentalismo presume di avere il possesso della verità, non riconoscendola a nessun altro. Guardiamo la storia: è il fondamentalismo dell’Occidente che ha suscitato e alimenta oggi quello islamico. Dalle crociate in qua, l’Occidente ha rapinato, letteralmente, il resto del mondo: con guerre ripetute, con la schiavitù, con il colonialismo, sterminando e deportando interi popoli (i nativi d’America, i neri) e oggi mantenendo nel sottosviluppo tre quarti dell’umanità. Quando viene scatenata la guerra contro l’Iraq (2003), sulla base della menzogna, si ha la prova che è il terrorismo dall’alto (di stato) a dare linfa a quello dal basso.
Pensiamo ai diseredati che emigrano: dopo aver loro portato la guerra e averli ridotti in miseria, vorremmo che non venissero a disturbarci tra lo sfavillio di vetrine delle nostre città. “Ragionamenti” da cerebrolesi.

In che modo idee filosofiche, religiosi e politiche portano a scelte ed azioni estreme? Come e perché si diventa estremisti?

Insisto: chi pratica il fondamentalismo raccoglie fondamentalismo. Chi è estremista genera estremisti. L’Occidente ha insegnato a tutto il mondo che si è in quanto si ha: la preminenza dell’avere sull’essere (in pace, con se stessi e con gli altri). Ed è per avere di più, che teniamo soggiogato il mondo. Spesso filosofie, religioni, politiche, ideologie, scelte economiche hanno fatto da incubatrici a questo esiziale cortocircuito. Ma oggi il cerchio si restringe, perché aumentano gli scricchiolii del mondo.

Come evitare che forme di pensiero estremo assumano derive violente o terroristiche?

Anzitutto tenendo presente che la violenza è sempre una brutta bestia, anche quando è difensiva, perché tende a perpetuarsi. Alla prepotenza non va, dunque, opposta altra prepotenza, ma l’equilibrio, che è la sua vera alternativa. Se riflettiamo bene, non ci vuole molto a capire che invece di creare montagne di cadaveri, di moltiplicare spoliazione e oppressione è molto più sano, più umano e più piacevole spargere intorno il contagio positivo della fratellanza, della pari dignità fra tutti gli esseri; a partire dagli esseri umani e dalle loro relazioni con tutte le cose e con la Terra.

Nel suo libro per “Ragionare. Sessanta domande sul nostro futuro e alcune proposte” sottolinea la necessità di tornare a pensare per smettere di essere passivi. Il ragionamento può essere un valido antidoto al diffondersi di derive estremistiche?

Tornare a pensare e a ragionare: è l’unico rimedio. E’ decisivo dotarsi di una propria coscienza critica, incentrata sul principio – un altro cardine del Sessantotto – se sai, sei; se non sai, sarai in balia altrui. Se sai, nessun potere esterno potrà costringerti. Al contrario se non sai, finirai preda del primo demagogo di turno. Consideriamo un dato elementare e decisivo al tempo stesso: senza la sintesi clorofilliana delle piante, che assorbono anidride carbonica e ci danno ossigeno, senza i mari, la pioggia, il sole noi non (ci) saremmo. La natura non è fondamentalista né estremista. Noi spesso lo siamo per le ragioni dette e fino a quando continueremo a comportarci da stupidi. Se pensiamo che noi, fino a prova contraria, siamo l’unica coscienza dell’universo, allora cambia tutto nel nostro modo di rapportarci con il mondo.

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