Altro che dittatura dell'euro! Forse la rivoluzione monetaria e bancaria globale partirà dalla Svizzera, cioè, paradossalmente, dal paese più borghese e con le maggiori banche al mondo. (Scopri di più su: MicroMega.Repubblica.it)
  • di Enrico Grazzini
Infatti in Svizzera si terrà nei prossimi mesi un referendum di riforma costituzionale per passare dalla moneta bancaria alla moneta pubblica: ovvero per togliere alle banche private il potere di creare moneta sotto forma di erogazione dei crediti e per ridare invece il monopolio dell'emissione monetaria alla banca centrale. Secondo i promotori, il passaggio dalla moneta bancaria a quella pubblica eliminerà alla radice le crisi cicliche finanziarie e renderà possibile l'utilizzo della moneta per il bene comune del Paese.

L'iniziativa, iniziata nel 2015 con la raccolta di 110 mila firme, è stata avviata dal Movimento Svizzero per la Moneta Sovrana, la Vollgeld-Initiative, che l’ha denominata, in italiano ticinese, «moneta intera» (ovvero: moneta piena, legale)[1]. Le votazioni si dovrebbero tenere quest'anno e avranno un effetto in tutto il mondo. In pratica il referendum punta a ridare alla Banca Nazionale Svizzera, e quindi indirettamente allo stato, il potere di controllare la massa monetaria, togliendo alle banche commerciali l'attuale quasi completo monopolio che detengono sull'emissione di moneta.

Infatti, come vedremo, il sistema bancario in tutto il mondo ha il privilegio unico di creare moneta (digitale o scritturale) dal nulla. Generalmente si crede che le banche diano in prestito il denaro dei risparmiatori, ma è vero il contrario. Sono i prestiti delle banche che creano dal nulla nuovi depositi, cioè nuova moneta. La grande maggioranza della moneta è sotto forma di depositi bancari ed è creata dalle banche commerciali ex nihilo. Quindi si crea una espansione monetaria incontrollata.

La proposta svizzera è sotto attacco. Sono molte le critiche, soprattutto per la radicalità della proposta: alcuni rischi sono reali. Molti economisti affermano che la moneta pubblica diventerebbe in pratica oggetto di decisioni politiche e che la banca centrale perderebbe la sua indipendenza e diventerebbe uno strumento in mano al governo. I governi userebbero allora la moneta per scopi politico-elettorali, provocando inflazione (eccesso di moneta), clientelismi, corruzione e divisioni sociali.

Altri insistono sul fatto che se il referendum passasse tutte le maggiori banche del Paese lascerebbero immediatamente la Svizzera. Il dibattito sulla moneta è comunque aperto in tutto il mondo. E molti economisti autorevoli e di establishment ormai propendono per sistemi analoghi a quelli auspicati dal referendum svizzero: togliendo al sistema bancario il potere di creare moneta, si eviterebbero crisi finanziarie violente come quella globale che, partita nel 2008, dura tuttora e sta portando alla rovina anche il nostro Paese. Un esempio per tutti: Martin Wolf, prestigioso editorialista del Financial Times, si è espresso ripetutamente a favore della proposta di “narrow banking”, cioè di trasferire il potere di emissione monetaria dalle banche private alla banca centrale, e quindi in una certa misura allo stato[2]. Del resto, come vedremo meglio più avanti, il narrow banking – cioè l'impossibilità per le banche private di creare moneta - è stato auspicato sia da economisti liberali, come Fisher, Simons, Friedman, Allais, che keynésiani, come Tobin e Minsky.

Da noi, in Italia, un referendum come quello svizzero è improponibile, per il semplice fatto che non abbiamo più una nostra moneta e non abbiamo una banca centrale autonoma e indipendente. Bankitalia è ormai associata e subordinata alla Banca Centrale Europea. Tuttavia il referendum svizzero pone dei problemi profondi e induce a riflessioni molto interessanti sulla moneta e le politiche monetarie.

Occorre sottolineare che la moneta fiscale, promossa da Micromega e dal compianto Luciano Gallino ed entrata finalmente nel programma politico di governo dei 5 Stelle, ha alcuni aspetti di somiglianza rispetto al progetto svizzero, anche se l'iniziativa italiana è differente e assai più limitata[3]. Comunque, con la moneta fiscale, lo stato italiano avrebbe la possibilità di immettere liquidità nell'economia reale, avrebbe dunque un ruolo attivo e propositivo in campo monetario. La differenza fondamentale è che la moneta fiscale italiana non toglierebbe alcuna prerogativa alle banche, diversamente che in Svizzera. E la differenza non è ovviamente da poco.

Un fatto è tuttavia certo: se lo stato italiano riuscisse a immettere moneta gratuita (cioè senza debito bancario) nella situazione attuale di trappola della liquidità e di contrazione del credito bancario, potrebbe rilanciare l'economia e l'occupazione (e lo stesso sistema bancario, oberato da crediti insoluti). Lo stato deve quindi avere un ruolo nel governo della moneta, che non può essere lasciato esclusivamente nelle mani del sistema finanziario.


Moneta pubblica e moneta bancaria

L’esito del voto popolare svizzero è incerto ma il successo è possibile. Apparentemente la consultazione popolare riguarda una complicata questione di tecnica monetaria; ma se il referendum – a cui si oppongono il governo, l'associazione delle banche svizzere e la maggior parte dei partiti – venisse approvato, si tratterebbe di una rivoluzione non solo in campo economico ma anche politico. Una rivoluzione non violenta resa possibile dalla democrazia diretta tipica del regime politico svizzero. Una rivoluzione che si espanderebbe in tutto il mondo.

Si tratterebbe di un primo ma decisivo passo di moneta pubblica (anche se in realtà la piccola Islanda ha già preso una decisione analoga). Se passasse il referendum costituzionale, la Banca Centrale potrebbe non solo emettere tutta la moneta, sia quella cartacea che quella elettronica, ma potrebbe anche distribuirla gratuitamente (ovvero senza interessi, a differenza delle banche), in base ai criteri fissati dal Parlamento, per le spese pubbliche, per le energie sostenibili, il riassetto del territorio, le infrastrutture materiali e immateriali – scuola, sanità, previdenza, ecc -, per diminuire le tasse o per aumentare direttamente il reddito delle famiglie, o anche per un reddito garantito. O per prestarlo alle banche e alle aziende private, ma dietro interesse.

Le banche invece non potrebbero più creare moneta: tornerebbero a fare il loro antico e tradizionale mestiere, cioè diventerebbero intermediari finanziari nel senso proprio del termine – così come viene descritta l'attività bancaria nei libri di testo -. Si occuperebbero di raccogliere i risparmi delle famiglie per riversarlo nell’economia sotto forma di prestiti e investimenti. Tornerebbero a essere quelle che erano prima della moneta elettronica: dei semplici intermediari tra risparmio e investimenti (“narrow banking”).


Le banche creano moneta dal nulla. Ma creano anche debito.

Ma come fanno le banche a creare moneta dal nulla? Gran parte della moneta, in particolare quella elettronica che utilizziamo per le transazioni di maggiore importo – per esempio per comprare la casa, per l'auto, per finanziare gli impianti industriali, l'acquisto di terreni e immobili, o per gli stipendi, o quant'altro -, è emessa dal sistema bancario privato sotto forma di credito (debito per il cliente) in vista del profitto, costituito dagli interessi. Nei suoi documenti ufficiali, un istituto prestigioso come la Banca d'Inghilterra spiega che la moneta che utilizziamo normalmente è moneta bancaria elettronica (o moneta scritturale) per il 95%[4]. Solo una parte secondaria, il 5-10% circa, è costituita da monete e contanti emessi dall'istituto centrale e utilizzati normalmente per le spese correnti. Questo significa che il controllo della massa monetaria sfugge alla Banca Centrale.

Le banche private creano dal nulla circa il 90% e oltre della moneta grazie al fatto che, per legge, esse sono tenute a mantenere solo un rapporto frazionario fra i depositi e i crediti che erogano. La riserva frazionaria è la percentuale dei depositi bancari che la banca è tenuta a detenere presso la banca centrale sotto forma di contanti o di attività facilmente liquidabili. In Europa questo rapporto è del 2%. Quindi per ogni prestito che la banca eroga, la banca deve versare solamente il 2% dei depositi alla Banca Centrale come riserva prudenziale in caso di crisi di liquidità. Versando due euro, potenzialmente la banca può creare 100 euro sotto forma di credito.

Le banche non hanno perciò bisogno di fondi per erogare credito (a parte il 2% di cui sopra)[5]. Questo è dovuto al fatto i depositi bancari sono giuridicamente privilegiati da parte dello Stato: infatti lo stato ha concesso ai prestiti delle banche lo status di moneta legale con cui le persone possono effettuare i pagamenti e saldare i debiti. Lo stato e la banca centrale hanno quindi ceduto alle banche private la possibilità di “stampare” moneta. Nessun'altra società finanziaria o industriale ha il potere di creare moneta dal nulla: solo le banche hanno una potestà monetaria pienamente legalizzata e i conseguenti profitti di signoraggio.

La moneta-credito erogata dalle banche diventa per contro, dal lato del cliente, moneta-debito, ovvero moneta che deve essere ripagata con interesse. Ma la crescita incessante dei debiti uccide l'economia reale. Le economie capitaliste contemporanee sono sempre più ammalate di debiti. Uno stato e una società fortemente indebitati sono esposti a crisi finanziarie e diventano schiavi del debito. La creazione di nuova moneta-debito appare come un parassita che dissangua l'economia. Da qui si possono interpretare le teorie sulla cosiddetta “stagnazione secolare”: a causa della moneta-debito, della crescita dei debiti e della speculazione sui debiti (soprattutto sui debiti di stato), le economie entrano in depressione, crescono poco o vanno in crisi.

La Banca Centrale può tentare di determinare indirettamente il tasso di crescita (o di decrescita) dei crediti bancari – e quindi della moneta – fissando il tasso ufficiale di interesse, ovvero il prezzo dei suoi prestiti alle banche. Tuttavia in ultima istanza sono le decisioni che le singole banche prendono per aumentare i loro profitti a determinare la massa monetaria. Quando l'economia è in espansione, le banche concedono facilmente i crediti, quando scoppia la bolla, allora il sistema bancario contrae immediatamente la moneta. La creazione di moneta privata bancaria comporta quindi come conseguenza cicli di speculazione, inflazione, crisi, deflazione, disoccupazione, e così via.


Il Chicago Plan e le teorie alternative sulla moneta

Con il referendum la situazione si rovescerebbe. Il Movimento svizzero per la moneta sovrana propone che una banca possa erogare solo crediti non superiori ai depositi propri o ai soldi presi a prestito da altre banche; così non può creare nuova moneta. Secondo i promotori, questo impedirebbe la formazione delle bolle speculative dovuto a flussi eccessivi di crediti.

Il referendum fa già tremare l'associazione delle banche elvetiche perché sancirebbe il ritorno al sistema monetario classico – dove la sovranità monetaria appartiene allo stato - e toglierebbe loro il privilegio di creare moneta dal nulla. Tuttavia sono ormai molti gli economisti che vogliono sottrarre alle banche il potere di stampare moneta secondo la loro volontà.

Le teorie di riforma monetaria e bancaria risalgono agli anni della Grande Crisi del 1929 e del New Deal. Negli anni Trenta alcuni economisti, tra cui il più famoso del tempo, Irving Fisher, elaborarono il cosiddetto Chicago Plan per il presidente Franklin Delano Roosevelt con l'obiettivo di risolvere alla radice il problema della crisi finanziaria abolendo il sistema di riserva frazionaria[6]. Ma Roosevelt bocciò il piano, considerandolo evidentemente troppo radicale, e in pratica lo segretò. Tuttavia il Chicago Plan riappare in forme inedite ancora oggi, in Svizzera e soprattutto nel mondo anglosassone. Nel 2012 Jaromir Benes and Michael Kumhof del FMI hanno presentato lo studio Chicago Plan Revisited, asserendo che se si fosse tolto alle banche il potere di creare moneta grazie al meccanismo della riserva frazionaria la crisi globale del 2008 non si sarebbe verificata.

La società di revisione e consulenza KPMG, sulle orme degli studi della Bank of England, ha analizzato i sistemi monetari alternativi e i dibattiti sulle riforme monetarie in US, UK, Svizzera, Olanda, Islanda[7]. Nel mondo anglosassone iniziative come PositiveMoney, e altre auspicano una riforma democratica della moneta[8]. New Economic Foundation e CBS Copenhagen Business School hanno calcolato che il signoraggio sulla moneta da parte delle banche svizzere tra il 2007 e il 2015 ha generato profitti per 34,8 miliardi di franchi[9]. Sono soldi che sarebbero invece potuti essere incassati dalla Banca Nazionale Svizzera, e poi quindi girati allo Stato ed essere utilizzati per migliorare i servizi pubblici o diminuire le tasse ai cittadini e alle imprese. O per distribuire ai cittadini svizzeri un dividendo annuale.


Il referendum in Svizzera

Con il successo del referendum, secondo i promotori si tornerebbe alla situazione di normalità costituzionale. Il Movimento per la Moneta Sovrana denuncia che la creazione di moneta da parte delle banche private è contro l’articolo 99 della Costituzione, secondo il quale “il settore monetario compete alla Confederazione”.

Nel 1891, con la creazione della Banca Centrale, lo stato svizzero vietò (come era avvenuto negli altri paesi) alle banche private di stampare banconote, cioè moneta privata. Lo statuto della Banca Nazionale Svizzera le attribuì il monopolio dell’emissione della moneta. Tuttavia, con l’avvento dell’economia moderna e della prevalenza della moneta bancaria elettronica – che prima era nettamente minoritaria -, tale prerogativa non è più rispettata.

I promotori della consultazione affermano allora che “oggi dobbiamo vietare alle banche anche di stampare il denaro elettronico. Solo la Banca Nazionale deve poter creare moneta”. Il problema è che il denaro creato dalle banche private finisce investito prevalentemente nei mercati immobiliari e in quelli finanziari. Solo una parte di gran lunga minoritaria arriva all’economia reale, alle aziende dove si crea la vera ricchezza, cioè posti di lavoro, prodotti e servizi. Il risultato è che aumentano i prezzi delle case e degli asset finanziari, fino a quando non scoppiano le bolle.

Con la vittoria di Vollgeld-Initiative, le decisioni sulla quantità di moneta cartacea ed elettronica da emettere toccherebbero alla banca centrale. La Banca nazionale avrebbe il mandato di provvedere affinché non si crei né una stretta creditizia né un eccesso di denaro in circolazione. E dovrebbe salvaguardare l'interesse generale. Le banche potrebbero prestare solo il denaro che hanno raccolto. I normali correntisti non correrebbero più il pericolo di vedere svanire i loro soldi in avventure finanziarie; i loro risparmi sarebbero garantiti direttamente e totalmente dalla banca centrale. Soprattutto, i rischi di squilibri monetari e di nuove crisi finanziarie si ridurrebbero notevolmente. E lo stato non dovrebbe più spendere i soldi dei contribuenti per salvare le banche private in crisi.

La rivoluzione monetaria non è impossibile, perché in Svizzera i sondaggi sono positivi e indicano che la maggioranza dei cittadini voterebbe a favore. Una cosa è certa: il referendum è sostenuto da soggetti che vanno al di là delle divisioni politiche tradizionali. I promotori del progetto sono originari dei cantoni tedeschi, sono piuttosto conservatori e liberali, e hanno una ispirazione monetarista che punta alla stabilità della moneta. Ma l'idea di ridurre l'influenza delle banche e di affidare alla Banca Nazionale Svizzera la responsabilità della crescita economica può attirare anche molti elettori di sinistra, più numerosi nella parte francofona.


La Moneta Fiscale in Italia

Recentemente il Movimento 5 Stelle ha accolto la nostra proposta di emettere la moneta fiscale, e questa si pone obiettivi parzialmente analoghi, anche se più modesti e meno radicali, di quella proposti dalla Vollgeld-Initiative. Il compianto Luciano Gallino è stato l'unico grande intellettuale italiano che ha avuto l'intelligenza e il coraggio di promuovere un progetto innovativo come il fiscal money. Nella sua prefazione all'eBook edito da Micromega nel 2015, "Per una moneta fiscale gratuita" Gallino ha spiegato che gli autori “osano proporre nientemeno che, allo scopo di combattere la disoccupazione e la stagnazione produttiva in corso, lo stato si decida a fare in piccolo qualcosa che le banche private fanno da generazioni in misura immensamente più grande: creare denaro dal nulla”[10]. Se la BCE non riesce a immettere liquidità all'economia reale, deve intervenire lo stato.

La moneta fiscale consiste in pratica in un Titolo di Sconto Fiscale (TSF) emesso dallo stato e valido per "pagare le tasse" dopo due anni dall'emissione. I TSF verrebbero distribuiti gratuitamente (sottolineo: gratuitamente, ovvero senza produrre debiti) a famiglie, imprese e amministrazioni pubbliche. La moneta fiscale non è alternativa all'euro ma è semplicemente un titolo di stato negoziabile – come i Bot e i Btp – denominato in euro e pienamente convertibile in euro. Non è quindi una moneta alternativa.

Il governo italiano dovrebbe emettere i TSF in misura massiccia, ovvero per miliardi di euro. I TSF, esattamente come i Bot e i Cct, potranno essere ceduti subito sul mercato finanziario in cambio di euro: così incrementano subito la capacità di spesa dell'economia. La distribuzione gratuita di TSF aumenterà la domanda e, grazie alla crescita della domanda aggregata, riprenderanno i consumi e gli investimenti pubblici e privati. Il PIL crescerà e quindi diminuirà il rapporto debito/PIL.

Le emissioni di Tsf potrebbero partire da un livello di circa il 2-3% del PIL annuo - più o meno 30-40 miliardi di euro - e saranno calibrate in tre anni in modo da assicurare alti livelli di occupazione senza produrre un'inflazione superiore al 3-4%, né scompensi nei saldi commerciali esteri. L'aumento della domanda farà crescere il PIL in misura più che proporzionale rispetto all'emissione di TSF, intorno al 3-4%[11].

Nel periodo che va dall'emissione dei TSF alla loro scadenza entrerà infatti in funzione il moltiplicatore del reddito, il cui valore è superiore a uno a causa del sottoutilizzo delle risorse e di tassi d'interesse tendenti allo zero, come nella situazione attuale. A due anni dall'emissione dei TSF la crescita del PIL darà luogo a nuovo gettito fiscale così da compensare il costo dei TSF e da non aumentare il deficit. La manovra, essendo basata su titoli di Stato, è perfettamente in linea con i Trattati europei poiché in campo fiscale ciascuno Stato è sovrano.

La moneta fiscale ha tre caratteristiche fondamentali che la rendono diversa dalla moneta bancaria: a) è emessa e distribuita dallo Stato e non dalle banche private; b) è una moneta nazionale e non una moneta prodotta dalle banche internazionali (come l'euro); c) è una moneta-credito (ovvero distribuita gratuitamente) e non una moneta-debito. Grazie a questo titolo/moneta, lo stato potrebbe combattere l'austerità dell'euro, rilanciare i consumi, gli investimenti e l'occupazione senza aumentare il debito pubblico. E senza rompere le regole dell'eurozona.

Questo progetto è innovativo ma è l'unico fattibile in tempi brevi per uscire da una drammatica crisi sociale ed economica. Non sembra esistano alternative concrete altrettanto efficaci.


NOTE

[1] http://www.iniziativa-moneta-intera.ch/

[2] Martin Wolf, (2014). “Strip private banks of their power to create money”, Financial Times, London.

[3] Vedi eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino.

[4] Bank of England. (2014). Money creation in the modern economy. Bank of England, Quarterly Bulleting, 2014, Q1.

[5] In teoria la banca centrale, attraverso l'obbligo delle riserve frazionarie e il cosiddetto moltiplicatore monetario,(M) pari al reciproco del tasso di riserva. (M= 1/R), potrebbe controllare matematicamente l'ammontare totale dei prestiti bancari; in pratica però questo non avviene. La Banca d'Inghilterra indica chiaramente (Money creation in the modern economy., già citato) che le banche centrali intervengono sempre alla bisogna per colmare le riserve quando le banche non possono rispettare gli impegni, in modo da non farle fallire. Quindi nei fatti non è la banca centrale che fissa la riserva frazionaria ma, al contrario, è essa che interviene se una banca è in deficit. L'obbligo di riserva non costituisce perciò un limite invalicabile per le banche commerciali e non consente di controllare la massa monetaria.

[6] Vedi “Chicago Plan” su Wikipedia. “The Chicago Plan Revisited”, report del FMI, 2012, scritto da Jaromir Benes e Michael Kumhof. riprende il piano originario e giunge alla conclusione che la crisi globale del 2008 sarebbe stata evitata se il potere di emissione monetaria fosse stato riservato alla Banca Centrale.

[7] KPMG. (2016). Money Issuance: alternative monetary systems.

[8] Positive Money – www.positivemoney.org – in UK e altre organizzazioni simili lavorano per una riforma monetaria. Per una lista accurata vedi: http://internationalmoneyreform.org/

[9] New Economics Foundation Making Money From Making Money. Seigniorage In The Modern Economy

[10] Vedi eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino.

[11] Vedi Marco Cattaneo, Enrico Grazzini, Guido Ortona MF – Milano Finanza “Per stimolare ìl pìl senza aumentare il debito occorre creare un mercato degli sconti tributari” 7 marzo 2017

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