Il 2017 è l’Anno internazionale del turismo responsabile per lo sviluppo. Le Nazioni Unite vogliono ricordarci che anche le nostre scelte di viaggiatori ci danno l’opportunità di favorire lo sviluppo sostenibile e la pace nel mondo. E per orientarvi potete scegliere anche tra i libri di Altreconomia. (Scopri di più su: Altreconomia.it)
Quest’estate abbiamo l’opportunità di favorire lo sviluppo sostenibile e la pace nel mondo. Semplicemente viaggiando, in modo responsabile.

“Il turismo è diventato un pilastro delle economie, un lasciapassare per la prosperità e una forza capace di migliorare la vita di milioni di persone”. È con queste parole che il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha aperto l’Anno internazionale del turismo sostenibile per lo sviluppo, nel gennaio del 2017. Secondo i dati del World Travel and Tourism Council, il valore globale delle spese per turismo è lievitato da 2 miliardi di dollari statunitensi nel 1950 a 1.260 miliardi nel 2015, il 9,8% del prodotto mondiale.

Terzo mercato nelle esportazioni globali (il 7%) dopo carburanti e chimica, il turismo rappresenta oltre il 30% delle esportazioni globali nel settore dei servizi. Un enorme affare, un flusso di persone impensabile fino a pochi anni fa, favorito dalla riduzione dei costi dei trasporti e dalla crescita esponenziale dei servizi e delle comunicazioni sotto la spinta dell’economia digitale. Le stime dell’Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite (UNWTO) dicono che quasi sei turisti su sette “spendono” le vacanze nel proprio Paese. Un turista ogni sette, invece, è “internazionale” (1,2 miliardi di turisti ogni anno). L’industria delle vacanze nel 2015 ha generato 2,5 milioni di posti di lavoro e il fatturato mondiale è cresciuto del 4% ogni anno dal 2009. Una persona su 11 lavora nel turismo, e saranno una su 9 entro il 2026.


Turismo e sostenibilità

Il “prodotto intorno lordo”, però, non è sinonimo di sviluppo sostenibile. L’UNWTO definisce turismo sostenibile quello che tiene “pienamente conto delle conseguenze economiche, sociali e ambientali attuali e future, rispondendo alle esigenze dei visitatori, dell’industria, dell’ambiente e delle comunità di accoglienza”.

L’equilibrio di sviluppo economico, sostenibilità ecologica e benessere sociale fa riferimento a un turismo “dolce”, a basso impatto ambientale, capace di valorizzare la cultura e i saperi locali e creare opportunità di reddito tra le fasce più deboli della popolazione mondiale.

In un articolo pubblicato sul sito dell’“Anno internazionale del turismo sostenibile per lo sviluppo”, il direttore generale UNWTO, Taleb Rifai, scrive: “Il turismo genera una cifra stimata al cinque per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) questa proporzione è più elevata -il 12,5 per cento- se si includono fattori come l’uso dell’energia negli alberghi e il trasporto di alimenti e articoli per l’igiene”.

L’European Enviroment Agency stima che il turismo sia una delle prime cause di inquinamento in Europa. Un turista utilizza 3 o 4 volte più acqua rispetto a un residente (stimato tra i 100 e i 200 litri per persona al giorno in tutta Europa). A Minorca, nel periodo dal 1998 al 2010, la media giornaliera dei rifiuti solidi urbani generati nel solo mese di agosto da parte dei turisti è superiore a quello dei residenti.


Turismo e sviluppo

La sostenibilità “applicata” al turismo guarda anche allo sviluppo diffuso, accessibile, locale. “Si dice che il turismo genera occupazione in Paesi dove non esistono altre forme di lavoro -scrive Maurizio Davolio, il presidente dell’Associazione italiana turismo responsabile (AITR), nel libro “Il viaggio e l’incontro” (Altreconomia, 2016)-. Questo è spesso vero, ma quale tipo di lavoro? La popolazione locale ha spesso un ruolo subalterno nella grande industria turistica internazionale […] in nessun caso i consistenti investimenti internazionali che movimentano milioni di turisti ogni giorno hanno mai innescato processi di crescita economica nei Paesi destinatari dei flussi. La perenne crisi economica che vivono alcune delle più gettonate destinazioni del turismo di massa nel Sud confermano questa critica”.

Già nel 2012, alla conferenza delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile (Rio+20), i leader internazionali hanno riconosciuto che un turismo “ben progettato e gestito” può contribuire alle tre componenti (economica, sociale e ambientale) dello sviluppo sostenibile. Il turismo è così oggi espressamente menzionato in tre dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (i numeri 8, 12 e 14), rimarcando come strategiche le politiche capaci di implementare e monitorare la promozione della cultura e dei prodotti locali e inserendo il turismo sostenibile tra le risorse fondamentali per “aumentare i benefici economici dei piccoli stati insulari in via di sviluppo e dei paesi meno sviluppati”.

Nel 2015, i 49 Paesi meno sviluppati del mondo hanno ospitato 29 milioni di turisti, per un giro d’affari di 21 miliardi di dollari statunitensi (erano 2,6 nel 2000). Il 57% del turismo internazionale sarà diretto verso Paesi emergenti entro il 2030. In un’intervista a Donna Moderna (numero 14, marzo 2017), Davolio sottolinea però che “nei viaggi classici al territorio rimane solo il 20% di quello che spende il turista, perché alberghi, compagnie aeree, trasporti e servizi appartengono quasi sempre a grandi gruppi stranieri. Nei tour [responsabile, ndr], invece, al territorio d’origine resta il 40% di quanto speso, perché scegliamo hotel, ristoranti, negozi e guide locali”. Si modifica e si ripensa il modo di fare e vivere il turismo per trasformarlo in una formidabile opportunità di sviluppo sostenibile e di riduzione della povertà.
  • Nel 2017 si tiene la nona edizione del festival italiano del turismo responsabile, “IT.A.CÀ Migranti e Viaggiatori”, in 10 tappe. Si parte il 18 maggio, da Bologna, per arrivare nel Monferrato, per l’evento conclusivo in programma dal 20 al 22 ottobre.

Turismo e sviluppo sostenibile

La verità è che non esiste un solo modello di turismo responsabile. “È oramai chiaro a tutti gli operatori di settore -si legge sul sito di AITR- che non esiste una sola definizione di turismo responsabile, e che è non possibile (o meglio, non sarebbe ragionevole) dare una spiegazione accettabile di questa pratica identificandola (o peggio sovrapponendola), di volta in volta, con altre pratiche che, invece, ne sono solo accezioni o specificazioni, ovvero: ‘turismo consapevole’, ‘ecoturismo’, ‘turismo culturale’, ‘turismo comunitario’, ‘turismo sostenibile’, ‘turismo equo-solidale’. Il turismo responsabile, in realtà, può essere attuato attraverso la ‘somma’ di queste pratiche, o attraverso la scelta di realizzare viaggi che si ispirino anche solo ad una di esse, che però sia correttamente esercitata e non entri in conflitto con le altre”.

Il turismo responsabile, insomma, non è un settore del turismo: è un modo di vivere e fare turismo le cui conseguenze sono potenzialmente rivoluzionarie. Viaggiando in modo responsabile si promuove la diversità culturale, si abbattono barriere e si alimenta una “soft diplomacy” capace di costruire la pace tra i popoli, se non quella tra i governi.

La campagna Travel.Enjoy.Respect lanciata in occasione dell’Anno internazionale del turismo sostenibile per lo sviluppo, suggerisce una serie di comportamenti virtuosi per essere turisti responsabili. Si va dalla più elementare etichetta di “chiedere prima di fotografare le persone” al rispetto dei luoghi sacri. Dal comprare prodotti di artigianato locale (e al giusto prezzo), al contenere il proprio consumo di acqua ed energia.

E chi preferisce affidarsi a un tour operator, può scegliere tra le organizzazioni riconosciute, come i soci di AITR, che sono tutti certificati. Li trovate qui.

Buone ferie.

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