La creazione di un ecosistema sussidiario a finalità cooperativa, è la precondizione di qualsiasi azione orientata a promuovere percorsi di sviluppo sostenibile. Le città che investiranno su queste politiche abilitanti saranno capaci di costruire una più solida democrazia economica e una maggiore capacità di generare ben-essere. (Scopri di più su: Aiccon.it)
  • Paolo Venturi
Siamo in un momento storico in cui sono in crisi i tradizionali modelli di produrre valore. Le leve tradizionali in mano allo Stato e al Mercato (per come li abbiamo conosciuti negli ultimi 20 anni) usate per attivare nuovi percorsi di sviluppo non funzionano più e in molti casi non sono più attivabili (basti pensare allo strutturale decremento della spesa pubblica e alla trasformazione di intere filiere produttive come l’edilizia).

In questo contesto una visione duale, Stato-Mercato, non è più sufficiente ma occorre recuperare un ingrediente, fino ad oggi attivato solo in maniera residuale, ossia il ruolo della società e della comunità.

La crisi (etimologicamente significa “passaggio”) ci consegna un’evidenza: lo sviluppo si costruisce “con” la comunità non solo “per” la comunità. Un esempio lampante ci viene dall’enorme quantità di beni immobili, di spazi, di quartieri, di borghi abbandonati. Prima l’opzione “urbanistica” in quanto tale poteva essere perseguibile per i proprietari di immobili (in gran parte privati) oggi questi beni se non incrociano una finalità sociale, culturale legata alla vocazione e ai bisogni della geo-comunità in cui sono inseriti, difficilmente possono essere ri-generati.

Sono spazi che posso diventare contenitori di nuove filiere di prodotti e di servizi rivolti alla comunità, luoghi di animazione sociale e di nuovo mutualismo (prima avevamo le case popolo e i circoli…), asset da destinare alla sperimentazione e all’imprenditorialità.

Ecco che quindi la rigenerazione non è più un atto speculativo (costruisco e rivendo)… ma un atto generativo.

Per attivare questi nuovi processi di rigenerazione, che si tratti di una periferia, di un casa cantoniera, di una stazione abbandonata, di un ex-fabbrica dismessa, non basta il governo (ossia l’intervento della PA) occorrono policy di governance ossia processi di collaborazione fra una pluralità di soggetti che non sono solo portatori di interessi, ma di risorse e di istanze di cambiamento. In questo senso la gli amministratori delle città sono chiamati a disegnare policy, capaci di abilitare, accompagnare e valutare processi che nascono dal basso e che hanno istanze e proposte concrete legate al diverso uso dei nuovi spazi.

Istanze ibride e plurali. Sono, infatti, fortemente eterogenee le soluzioni che spesso convivono dentro i nuovi spazi rigenerati dove il nuovo artigianato convive con la dimensione culturale e lo spazio associativo con quello imprenditoriale; però senza un comune “tèlos” (fine comune) non si costruiscono governance. E’ quindi indispensabile alimentare, prima di qualsiasi intervento, processi di condivisione senza i quali è difficile generare valore.

Oltre alla governance, è indispensabile semplificare e allineare le normative ad un diverso uso degli spazi: la legislazione che abbiamo oggi (nonostante l’innovazione introdotta dal regolamento sui beni comuni del Comune di Bologna) sono pensate per un mondo che non c’è più. Oggi abbiamo beni immobili che non hanno praticamente più mercato e sono all’origine del degrado sociale di molte città, per non parlare di borghi abbandonati che vendono case a poche centinaia di euro e nello stesso tempo registriamo una crescente quantità di persone che non hanno accesso alla casa. Mi sembra un paradosso che non possiamo permetterci.

La ri-generazione diventa quindi una grande occasione per dare vita a nuova era di distretti caratterizzati da un diverso modo d’intendere la produzione: “la produzione come fatto sociale” (G. Becattini).


La proposta: “Istituzione di un dipartimento per la cura e lo sviluppo delle comunità”

Come già accade nel Regno Unito con l’istituzione del Department for Communities and Local Government, per promuovere azioni di sviluppo locali occorre creare istituzioni deputate a supportare l’iniziativa comunitaria. La crescente domanda di socialità ricombinata alla necessità di rigenerare lo spazio pubblico rende la cooperazione una soluzione da capace di costruire soluzioni inclusive orientate allo sviluppo. Gli step della rigenerazione in senso cooperativo si caratterizzano per:

Intenzionalità imprenditoriale e presenza di asset comunitari

I percorsi comunitari e di cooperazione di questo tipo, nascono dalla comunità stessa, dai cittadini e dagli abitanti del territorio di riferimento. Ciò non significa, però, che la nascita sociale della cooperativa di comunità sia un atto assembleare o totalizzante. Il percorso di costituzione è infatti promosso da una minoranza profetica, visionaria e determinata che si assume il rischio e la responsabilità imprenditoriale del progetto: non può esistere un’impresa di comunità, se non è la comunità ad investire in se stessa. Ciò che succede è che in tanti (la comunità) condividono l’idea imprenditoriale di pochi (minoranza profetica). Per questo motivo è importante focalizzarsi sulla dimensione individuale per poter attivare le competenze ed abilità che ogni socio fondatore ha e canalizzarle nelle attività proposte dalla cooperativa stessa. L’equilibrio fra la dimensione lavorativa e di ricerca di reddito dei soci e la dimensione comunitaria alla quale l’impresa è volta, è fondamentale: nelle cooperative di comunità il tratto economico incorpora la dimensione comunitaria. Il tema principale è l’individuazione e l’avvio di un’attività imprenditoriale che generi reddito ed occupazione e che abiliti il tratto comunitario a venire fuori. In questo percorso di emersione per esempio la coltivazione e trasformazione di prodotti agricoli, l’ospitalità turistica, le attività educative e culturali, servizi alla persona e di welfare di comunità, servizi di manutenzione territoriale, diventano veri e propri asset comunitari su cui investire.

Sussidiarietà e collaborazione

L’attività imprenditoriale si genera attraverso la relazione con le altre entità del territorio (pubbliche, private o cooperative) con le quali vi è, in primo luogo, condivisione valoriale e di visione del progetto. La cooperativa in ambito comunitario si inserisce in un contesto sociale e relazionale, affermando la propria interdipendenza con i soggetti del mercato, i cittadini del territorio, i soci lavoratori e le policy territoriali. La cooperativa si pone quindi come infrastruttura territoriale attraverso la quale esperienze diverse - come il coinvolgimento di nuovi stakeholder, reti di collaborazione civica e sociale, esperienze di economia solidale - si riconoscono in un soggetto pronto ad essere il motore e il ricettore di forme di rinnovata socialità. In questa logica, il rapporto tra cooperativa di comunità e Pubblica Amministrazione si avvicina alla logica del partenariato e richiede un patto, in cui i soggetti coinvolti collaborano sullo stesso piano, contrapponendosi a quella del contracting out caratterizzata dall’ esternalizzazione dei servizi. Le policy territoriali diventano quindi politiche rigenerative, attività abilitanti e di supporto della cooperativa e del territorio.

Investimento e percorsi circolari di valore sociale

Nelle cooperative di comunità la minoranza profetica investe e diventa connettore dell’investimento comunitario. La comunità si attiva attraverso meccanismi cooperativi che sono alla base della creazione di valore sociale. Non esiste una impresa di comunità se non è la comunità stessa che investe in se stessa, se non sono i cittadini che si fanno carico direttamente di rispondere ad una domanda o sviluppare un’opportunità per tutti. Questa opportunità deve essere supportata da un’ecosistema composto da il supporto di project management, le reti, i patti territoriali etc. Solo così si sviluppa una sorta di mutualità estesa a beneficio di tutti gli abitanti.

Da alcune evidenze già sperimentate (Progetto Pilastro 2016 a Bologna) emerge l’importanza di procedere attraverso step incrementali che permettono al progetto di decollare e di immaginare strumenti di governo coerenti con le fasi in cui il progetto si trova a fare i conti.

Per procedere secondo questa direzione le città dovranno immaginare un ecosistema di nuovi soggetti vocati alla ri-generazione: un modello tripolare, che mette in relazione tre realtà che operano in sinergia.

Il ruolo principale del “Dipartimento per la cura e lo sviluppo delle comunità” non sarà quello di redistribuire fondi ma creare le condizioni per la nascita di un “ecosistema per lo sviluppo dell’azione comunitaria” formato da tre polarità:
  1. un soggetto associativo che, attraverso un lavoro di ascolto attivo del territorio (advocacy dei bisogni), alimenti percorsi e azioni di condivisione orientati all’interesse della comunità; (es. Locality)
  2. un soggetto imprenditoriale di natura cooperativa, inteso come hub, che individua le economie da attivare, alimenta ed innesca dinamiche sinergiche nella rete relazionale in cui opera, e si attiva a partire sia da risorse di natura donativa e filantropica, sia da economie dirette con scambio di mercato; (es. Community enterprise);
  3. la terza polarità è un’agenzia di sviluppo locale guidata dalla PA come soggetto facilitatore e catalizzatore di fondi europei destinati allo sviluppo locale e alla rigenerazione urbana. (es. Homes & Communities Agency)
La creazione di un ecosistema sussidiario a finalità cooperativa, è la precondizione di qualsiasi azione orientata a promuovere percorsi di sviluppo endogeno, ossia sostenibili e legati al capitale umano, sociale e identitario di un territorio.

Le città che investiranno su queste politiche “abilitanti” (ossia ecosistemiche) saranno quelle capaci di costruire una più solida democrazia economica e una maggiore capacità di generare Ben-essere.

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