La celebre attrice Angelina Jolie è l'inviata speciale dell'Alto Commissariato ONU per i rifugiati. Per il New York Times ha scritto toccanti parole sul ruolo che gli USA dovrebbero avere nell'accoglienza ai rifugiati - una piccolissima minoranza dei profughi, che ha subito torture e altre violenze inenarrabili, tutte documentate - e nel rispetto del principio di non discriminazione anche nella gestione di questa difficile emergenza. Riportiamo il suo articolo in traduzione integrale. (Scopri di più su: Gariwo.net)
  • di Angelina Jolie
I rifugiati sono uomini, donne e bambini intrappolati nella furia della guerra o fatti bersaglio della persecuzione. Lontani dall'essere terroristi, sono spesso anch'essi vittime del terrorismo.

Sono fiera della storia del nostro Paese che ha dato rifugio alle persone più vulnerabili. Gli americani hanno versato il sangue per difendere l'idea che i diritti umani trascendono la cultura, la geografia, l'etnicità e la religione. La decisione di sospendere la sistemazione dei rifugiati negli Stati Uniti e di negare l'accesso ai cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana è stata accolta con vivo shock nel mondo, proprio per via di questo primato che abbiamo avuto nella nostra storia.

La crisi globale dei rifugiati e la minaccia del terrorismo rende interamente giustificabile che prendiamo in considerazione i modi migliori per difendere i nostri confini. Ogni governo deve bilanciare i bisogni dei suoi cittadini con le responsabilità internazionali. Ma la nostra reazione dev'essere commisurata ai fatti, e basata su questi, non sulla paura.

Come madre di sei bambini, che sono tutti nati in terre straniere e sono fieri cittadini americani, voglio veramente che il nostro Paese sia sicuro per loro, e per tutti i bambini della nostra nazione. Ma voglio anche sapere che i bambini dei rifugiati che hanno i requisiti per richiedere asilo abbiano sempre una possibilità di presentare il proprio caso a un'America compassionevole. E che possiamo riuscire a gestire la nostra sicurezza senza cancellare i cittadini di altri Paesi – perfino i neonati – come “non sicuri” per via della loro origine geografica o della loro religione

È semplicemente falso che vengano effettuati sconfinamenti alle nostre frontiere o che i rifugiati vengano ammessi negli Stati Uniti senza un esame accurato.

I rifugiati infatti sono sottoposti al più alto livello di verifiche di qualunque altra categoria di viaggiatori che si rechino negli Stati Uniti. Tali verifiche comprendono mesi di interviste e controlli di sicurezza effettuati dall'F.B.I., dal National Counterterrorism Center, dal Dipartimento della Sicurezza Nazionale e dal Dipartimento di Stato.

Inoltre, solo le persone più vulnerabili sono proposte per la sistemazione in primo luogo: i sopravvissuti alla tortura e le donne e i bambini a rischio, o che non potrebbero sopravvivere senza assistenza medica urgente e specializzata. Ho visitato innumerevoli campi e città dove migliaia di rifugiati sopravvivono a malapena e ogni famiglia è portatrice di una grande sofferenza. Quando l'Agenzia ONU per i Rifugiati individua tra loro le persone che hanno maggior bisogno di protezione, possiamo essere sicuri che meritano la sicurezza, l'accoglienza e un inizio nuovo di zecca che i Paesi come il nostro sono in grado di offrire.

E infatti solo una minuscola frazione – meno dell'1 percento – di tutti i rifugiati nel mondo si vanno a sistemare negli Stati Uniti o in qualunque altro Paese. Ci sono più di 65 milioni di rifugiati e sfollati nel mondo. 9 su 10 di loro vivono in Paesi poveri o a medio reddito, non in ricche nazioni occidentali. Ci sono 2,8 milioni di rifugiati solamente in Turchia. Solo circa 18.000 siriani sono stati ammessi a sistemarsi in America dal 2011.

Questa disparità ci porta a considerare un'altra, più deprimente realtà. Se inviamo il messaggio che è accettabile chiudere le porte ai rifugiati, o discriminarli sulla base della religione, giochiamo con il fuoco, accendendo una miccia che brucerà tra i continenti, proprio invitando a casa nostra l'instabilità dalla quale cerchiamo di proteggerci.

Stiamo già vivendo la peggior crisi dei rifugiati dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Ci sono Paesi in Africa e Medio Oriente che strabordano di rifugiati. Per generazioni, i diplomatici americani hanno collaborato con le Nazioni Unite nell'invitare quei Paesi a tenere i loro confini aperti, e rispettare gli standard internazionali sul trattamento dei rifugiati. Molti lo fanno, con generosità esemplare.

Quale sarà la loro risposta se altri Paesi usano la sicurezza nazionale come scusa per iniziare a mandare via le persone, o negare loro i diritti sulla base della religione? Che cosa potrebbe significare questo per i rohingya del Myanmar, o i rifugiati somali, o milioni di altri sfollati che sono anche musulmani? E che cosa comporta questo per l'assoluto divieto esistente nel diritto internazionale di discriminare sulla base della fede o della religione?

La verità è che se anche il numero dei rifugiati che prendiamo dentro è piccolo, e noi facciamo proprio il minimo, lo facciamo per osservare il rispetto delle convenzioni e dei criteri delle Nazioni Unite che abbiamo lottato così tanto per costruire dopo la Seconda Guerra Mondiale, nell'interesse della nostra sicurezza.

Se noi americani diciamo che questi obblighi non sono più importanti, rischiamo una specie di sanatoria generalizzata in cui viene negata la sistemazione ad ancora più rifugiati, garantendo più instabilità, odio e violenza.

Se creiamo un livello di rifugiati di serie B, con l'implicazione che i musulmani siano meno meritevoli dmi protezione, alimentiamo l'estremismo all'estero e a casa nostra miniamo l'ideale di molteplicità che è caro tanto ai democratici, quanto ai repubblicani: “L'America è impegnata nel mondo perché così tanta parte del mondo è dentro l'America”, per dirla con Ronald Reagan. Se dividiamo le persone che si trovano oltre i nostri confini, ci dividiamo anche noi.

La lezione degli anni che abbiamo trascorso a lottare contro il terrorismo a partire dall'11 settembre è che ogni volta che ci allontaniamo dai nostri valori peggioriamo proprio il problema che stavamo cercando di contenere. Non dobbiamo mai permettere ai nostri valori di diventare danni collaterali nella ricerca di maggiore sicurezza. Chiudere le porte di casa nostra ai rifugiati o effettuare discriminazioni tra loro non è la nostra maniera di fare le cose, e non ci renderà più sicuri. Agire perpaura non è il nostro modo di affrontare le cose. Colpire i più deboli non è una dimostrazione di forza.

Tutti noi vogliamo tenere il nostro Paese al riparo. Così dobbiamo guardare alle fonti della minaccia terrorista – i conflitti che danno spazio e ossigeno ai gruppi come lo Stato Islamico, e la disperazione e l'assenza di ogni legge dai quali essi traggono alimento. Dobbiamo fare causa comune con le persone di tutte le fedi e di tutti i percorsi di vita che lottano contro la stessa minaccia e cercano la stessa sicurezza. Questo è il punto dove spero che qualsiasi Presidente della nostra grande nazione sarà da guida per il mondo in nome di tutti gli americani.

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