A dicembre, l'INSEAD Europe Campus ha ospitato il primo “Corporate Foundations Knowledge Exchange”. Organizzato da DAFNE, Donors and Foundations Networks in Europe, e da CFF, Centre Français des Fonds et Fondations, l'evento ha richiamato l'attenzione di oltre 80 rappresentanti di fondazioni d'impresa e associazioni di fondazioni provenienti da tutta Europa, tra cui l’italiana Assifero. (Scopri di più su: IlGiornaleDelleFondazioni.com)
  • di Vittoria Azzarita
Questo primo confronto internazionale ha consentito di avviare un dibattito a più voci sul tema del rapporto reciproco che lega le fondazioni alle società che le finanziano. Durante l'incontro sono stati presentati i risultati dell'indagine condotta da Corporate Citizenship sulle tendenze che stanno cambiando le corporate foundations. Dal 2013 ad oggi, le fondazioni d'impresa che presentano un allineamento strategico con la propria società madre sono passate dal 58% al 73%, mostrando una propensione crescente verso la creazione di sinergie tra le attività filantropiche e il core business aziendale. Tuttavia per diventare dei reali agenti di cambiamento, le corporate foundations devono trovare il giusto equilibrio tra autonomia e integrazione al fine di massimizzare l'impatto sociale generato dalle loro attività

Le fondazioni d'impresa, meglio conosciute con la dicitura inglese “corporate foundations”, rappresentano un fenomeno emergente ma dalle elevate potenzialità, nel mondo della filantropia. L'analisi della loro evoluzione in uno scenario in trasformazione è stato il filo conduttore del primo “Corporate Foundations Knowledge Exchange”,[1] che si è tenuto il 5 e 6 dicembre 2016 a Fontainebleau, in Francia, presso l'INSEAD Europe Campus. Promosso da DAFNE, Donors and Foundations Networks in Europe, e da CFF, Centre Français des Fonds et Fondations, l'evento ha visto la partecipazione di più di 80 rappresentanti di fondazioni d'impresa e associazioni di fondazioni provenienti da tutta Europa. Per l'Italia hanno preso parte al fitto programma di discussioni plenarie, workshop e gruppi di lavoro, il segretario generale di Assifero Carola Carazzone, che ha coordinato il gruppo di lavoro denominato “Social Justice, Empowerment, Tackling disadvantage, Developmment Aid”, Maria Cristina Cedrini e Luca Mantoan, che hanno illustrato rispettivamente le esperienze della Fondazione Bracco e della Unicredit Foundation.

Riunendo in un'unica sede esperti e operatori del settore, questo primo confronto internazionale si è posto il duplice obiettivo di esplorare la natura del legame che intercorre tra le fondazioni d'impresa e le società che le finanziano, e il modo in cui ciò si ripercuote sulla struttura, la governance, la mission, e le attività delle corporate foundations. Entità ibride per definizione, le fondazioni d'impresa sembrano soffrire di un intimo conflitto d'interessi derivante dal loro essere contemporaneamente soggetti senza scopo di lucro, legalmente indipendenti e obbligati a perseguire scopi di utilità sociale, ma anche organi fondati e finanziati in misura preponderante da imprese che agiscono all’interno del libero mercato secondo le regole del capitalismo e della massimizzazione dei profitti. Lo stretto rapporto di parentela che unisce ciascuna fondazione d'impresa alla propria società madre richiede pertanto un'attenta riflessione sul grado di indipendenza delle corporate foundations, e su quanto le loro attività siano modellate e influenzate dal funzionamento e dall'utilità delle aziende a cui fanno riferimento.


Le fondazioni d'impresa in un mondo che cambia

Diffuse in tutto il mondo, le fondazioni d'impresa rappresentano differenti porzioni del settore filantropico a seconda del Paese di appartenenza. In termini numerici, le statistiche del Foundation Center riportano che nel 2014 negli Stati Uniti sono state censite 2.521 fondazioni d'impresa su un totale di 86.726 fondazioni. Anche se le corporate foundations rappresentano solo il 3% delle fondazioni statunitensi, gli Stati Uniti risultano essere l'ambito geografico in cui le imprese mostrano una maggiore propensione a ricorrere a questo strumento, dal momento che circa il 79% delle grandi società statunitensi[2] dichiara di avere una propria fondazione e di svolgere altri tipi di attività filantropiche.. In Germania vi sono circa 450 fondazioni d'impresa, mentre in Svizzera le corporate foundations sono pari al 20% delle fondazioni, che si stima siano complessivamente quasi 13.000. In Francia, le fondazioni d'impresa sono 360 su un totale di 4.759 fondazioni e fondi erogativi[3], contro le 140 corporate foundations attive nel Regno Unito[4]. In Italia, secondo i dati contenuti nel Rapporto di Ricerca realizzato da ALTIS – Alta Scuola Impresa e Società dell'Università Cattolica di Milano, in collaborazione con Fondazione Sodalitas e Fondazione Giovanni Agnelli[5], si registra la presenza di 131 fondazioni d'impresa. In particolare, nel nostro Paese, su un totale di 105 associati ad Assifero, 44 risultano essere fondazioni d'impresa.

Anche se la disomogeneità dei dati, la non facile reperibilità degli stessi, e le differenti normative vigenti in ciascuno Stato rendono difficile tracciare un identikit comune, per Amanda Jordan, Chair della Association of Charitable Foundations (ACF) e Co-founding Director di Corporate Citizenship, le fondazioni d'impresa sono un fenomeno complesso che condivide cinque sfide principali. Il suo intervento, durante il “Corporate Foundations Knowledge Exchange”, ha evidenziato che al di là del contesto di riferimento, i principali ostacoli alla realizzazione della propria mission derivano per quasi tutte le fondazioni d'impresa dai requisiti legali, dalla mancanza di fondi, dalla riluttanza dei trustees, dalle persistenti aspettative da parte di un'ampia gamma di stakeholder, e dal non semplice processo di integrazione della filantropia nell’attività strategica dell'impresa, in quanto non è sempre facile garantire il delicato equilibrio tra l’autonomia richiesta alle fondazioni per condurre opportunamente le proprie attività, e lo sviluppo di sinergie tra interessi collettivi e interessi aziendali[6].

A volte confuse con i programmi di Corporate Social Responsibility (CSR) attuati dalle aziende, le fondazioni d'impresa risultano essere uno strumento autonomo e fortemente incisivo che le imprese hanno a loro disposizione per dimostrare un impegno concreto e di lungo periodo nei confronti della società. Focalizzando le proprie azioni sulla soluzione di bisogni reali, le fondazioni d'impresa permettono di agire in maniera strategica e offrono alle imprese la possibilità di essere attivamente coinvolte in progetti che hanno un impatto positivo sia all'interno della comunità che sull'azienda stessa. Ma in che modo le fondazioni d'impresa possono posizionarsi in maniera vincente in un contesto in continuo cambiamento, e in un momento in cui lo scopo della responsabilità sociale d'impresa risulta essere ampio e articolato coinvolgendo la totalità del lavoro di un'azienda, in termini di relazioni con i fornitori, con la forza lavoro, con i consumatori, con l'ambiente, e con chiunque interagisca con essa?[7]

Una possibile risposta a questa domanda è contenuta in una recente indagine condotta da Corporate Citizenship, società di consulenza internazionale specializzata in sostenibilità e responsabilità d'impresa, che analizza il rapporto tra le fondazioni e le aziende che le finanziano al fine di mettere in evidenza le caratteristiche che consentono alle corporate foundations di essere degli “agenti di cambiamento”, capaci di apportare un innovativo impatto sociale[8]. Lo studio condotto da Corporate Citizenship ha riguardato più di 100 fondazioni d'impresa ubicate in 20 Paesi di tutto il mondo, fornendo una visione d'insieme dei trend attualmente osservabili nell'ecosistema delle fondazioni.

Per rendere effettive e maggiormente efficaci le loro attività di solidarietà sociale a favore della comunità, un crescente numero di fondazioni d'impresa sta abbandonando la logica puramente erogativa, adottando un approccio più mirato che attinge esperienze e conoscenze dalla società madre, con l'intento di contribuire alla costruzione di una società coesa e inclusiva. A questo proposito, la ricerca di Corporate Citizenship individua sei requisiti chiave, che le moderne fondazioni d'impresa dovrebbero possedere per raggiungere il più ampio beneficio sociale. Lo studio assegna a ciascuna caratteristica la capacità di incidere in maniera positiva in uno specifico campo d'azione, lasciando sottintendere che in una situazione ottimale le fondazioni d'impresa dovrebbero far leva su tutti i fattori contemporaneamente.

Sintetizzando quanto riportato dalla pubblicazione, una fondazione d'impresa orientata al cambiamento e all'innovazione dovrebbe essere dotata di “acume commerciale”, ossia essere capace di valorizzare le competenze e le conoscenze dell'azienda madre in termini di prodotti e servizi che possono essere sviluppati, reti e contatti che possono essere utilizzati in maniera condivisa, e dipendenti che possono essere coinvolti nei progetti e nelle attività della fondazione. Dovrebbe essere “strategicamente allineata” con l'impresa che la finanzia, mostrando una vicinanza d'intenti oppure operando in ambiti rilevanti anche per la società madre. Dovrebbe essere “focalizzata”, scegliendo di sviluppare i propri programmi in un ristretto numero di campi d'azione. Dovrebbe “saper coinvolgere”, ossia essere capace di stimolare la partecipazione attiva di partner, comunità, istituzioni e altri soggetti in grado di promuovere azioni di sensibilizzazione a favore di cause comuni. Dovrebbe “misurare il proprio impatto” per valutare le reali ricadute sociali dei progetti in atto, migliorare la gestione delle proprie attività, informare la strategia e gli obiettivi futuri, e rafforzare la comunicazione verso l'esterno attraverso una narrazione più incisiva e coinvolgente. Infine dovrebbe utilizzare strumenti di “finanza sostenibile” al fine di generare un impatto sociale non solo attraverso i fondi erogati a favore di terzi, ma anche tramite un investimento equo e solidale del proprio capitale.

In linea generale, i dati raccolti dall'indagine evidenziano come dal 2013 ad oggi sia cresciuto il numero delle fondazioni d'impresa che dichiara che vi è una correlazione tra le proprie strategie erogative e gli obiettivi aziendali. Tale percentuale è passata infatti dal 58% al 73%, dimostrando una crescita costante dell'allineamento strategico tra le fondazioni e le aziende che le finanziano. Il 40% delle corporate foundations afferma di lavorare in un ristretto numero di aree programmatiche, e spesso sceglie di collaborare con le stesse organizzazioni al fine di raggiungere obiettivi di lungo periodo. Tra gli ambiti tematici scelti con maggior frequenza vi sono l'istruzione, la salute, il contrasto alla disoccupazione e alla povertà, e l'assistenza sociale. Nonostante il 78% delle fondazioni d'impresa che hanno preso parte all'indagine sostenga di voler misurare gli impatti a lungo termine delle proprie attività e iniziative, solo il 54% dichiara di farlo mettendo in luce un evidente divario tra le aspirazioni e la realtà. Secondo una visione prospettica, il 65% delle fondazioni d'impresa riescono a immaginare di sviluppare un nuovo prodotto o servizio in grado di apportare un rilevante beneficio sociale nel prossimo futuro. Inoltre iniziano a farsi strada corporate foundations che scelgono di adottare strumenti di investimento sociale come l'impact investing, con un quarto delle fondazioni che dichiara di considerarli una valida possibilità d'investimento per il futuro.


Fondazioni d'impresa e modelli di governance

Argomento centrale per il buon funzionamento di una fondazione d'impresa risulta essere il modello di governance che si sceglie di adottare, in quanto una buona struttura di governo facilita sia il raggiungimento di un maggior impatto sociale da parte della fondazione, sia la possibilità per l'impresa di consolidare il proprio impegno filantropico. Un aspetto più volte messo in evidenza anche da Giacomo Boesso, Professore Associato di Economia Aziendale presso l’Università di Padova, per il quale è necessario che le fondazioni siano dotate di risorse e competenze adeguate, ma anche di processi e meccanismi di governo efficaci. In un recente studio realizzato in collaborazione con Acri, Assifero e Centro Studi Lang sulla Filantropia Strategica, sulla governance delle fondazioni italiane, Boesso sottolinea come le opzioni di governance ritenute più adatte allo sviluppo del settore siano quelle in grado di favorire un’attività di pianificazione capace di far diventare l’erogazione delle risorse parte integrante di una più complessa progettualità sociale.

Durante il “Corporate Foundations Knowledge Exchange” il tema della governance in relazione al grado di indipendenza delle fondazioni d'impresa e al grado di vicinanza tra le fondazioni e il core business delle aziende a cui fanno riferimento, è stato approfondito da Lonneke Roza della Erasmus University di Rotterdam, e Steffen Bethmann del Center for Philanthropy Studies dell'Università di Basilea. Premesso che la piena indipendenza delle fondazioni dalle imprese che le finanziano non è detto che sia necessariamente la scelta migliore, Roza e Bethmann individuano quattro possibili modelli di governance applicabili alle fondazioni d'impresa. Riprendendo i risultati di una precedente ricerca[9] condotta dallo stesso Bethmann e da Georg von Schnurbein, per i due ricercatori si può parlare di “Instrumental Philanthropy” quando la vicinanza tra la fondazione e il core business dell'impresa è elevata, mentre il grado di indipendenza della fondazione dall'azienda è basso.

In questo caso, i programmi d'intervento della fondazione hanno un effetto positivo sulla percezione pubblica dell'impresa e possono aiutarla ad aumentare le proprie entrate oppure le vendite. Questo modello tuttavia pone alcune questioni etiche e può portare a problemi legali, se i programmi della fondazione risultano essere eccessivamente allineati con le finalità commerciali dell'impresa. Da ciò deriva che spetta alla fondazione dimostrare di essere un'entità autonoma e indipendente, con i propri scopi e obiettivi. I rischi di questo modello includono la possibilità che la fondazione possa perdere i suoi privilegi fiscali, la sua reputazione e credibilità. In ogni caso, se sapientemente amministrato, questo modello può produrre un rilevante beneficio finanziario con la possibilità di creare valore condiviso. Esempi di questo tipo di governance risultano essere i programmi a favore della produttività agricola finanziati da fondazioni d'impresa che fanno riferimento a società che vendono prodotti destinati alla filiera dell'agricoltura.

Quando c'è un basso allineamento con l'attività commerciale dell'impresa e un basso grado di indipendenza si può parlare di “Reputational Philanthropy”. Questo modello permette alle imprese di mostrare la loro dedizione e il loro sostegno a favore di alcune cause sociali, ad esempio attraverso la sponsorizzazione di eventi culturali, l'offerta di programmi di sviluppo destinati alla comunità o la realizzazione di campagne di raccolta fondi aziendali. Quando la relazione con il core business dell'impresa è alta e il grado di indipendenza dalla società madre è elevato è possibile parlare di “Complementary Philanthropy”. Questo modello permette alla fondazione di operare nelle stesse aree in cui è attiva l'impresa che la finanzia, ma senza dover cercare dei potenziali benefici anche per l'impresa.

Questo modello prevede che il board sia costituito in misura preponderante da esperti esterni, i quali hanno il compito di garantire che i programmi della fondazione siano finalizzati a soddisfare determinati bisogni sociali, e che la fondazione non sia usata per supportare le finalità economiche dell'impresa. Se sapientemente implementato, questo modello può avere un effetto positivo sull'impresa – a volte anche sui profitti – soprattutto quando la società civile percepisce che la fondazione è un ente trasparente e responsabile che persegue primariamente il bene comune. Esempi di questo tipo di modello includono programmi di prevenzione dei rischi da parte di fondazioni che fanno capo a compagnie assicurative; programmi di capacity building per i senzatetto da parte di fondazioni che appartengono a banche che erogano prestiti; oppure programmi di sostegno a favore della ricerca indipendente su argomenti connessi al core business dell'impresa, ma finalizzati a migliorare la salute dei cittadini.

Il quarto modello di governance, definito “Purpose driven Philanthropy”, si caratterizza per un elevato grado di indipendenza e una scarsa vicinanza al core business dell'impresa. In questo caso il board è diversificato e comprende al suo interno membri con conoscenze specifiche. I membri del borad che provengono dall'impresa assicurano che la fondazione abbia le risorse necessarie per l'espletamento delle proprie attività, e sostengono la strategia della fondazione indipendentemente dal ritorno che può esserci per l'impresa. Gli stakeholder esterni sono consapevoli della relazione che esiste tra la fondazione e l'impresa, ma percepiscono la fondazione come un'organizzazione indipendente, guidata dai propri fini sociali.

Come precisato dagli autori della ricerca tutti i modelli rappresentano dei validi sistemi di governance. Nessuno è necessariamente migliore degli altri, e tutti hanno punti di forza e di debolezza. I veri fattori critici di successo risultano essere la trasparenza sulla relazione tra la fondazione e l'impresa, e la capacità di anteporre i benefici sociali - che la fondazione è chiamata a perseguire - agli interessi economici dell'impresa che la finanzia. Se le fondazioni d'impresa desiderano essere agenti di cambiamento devono imparare a confrontarsi con le proprie criticità per capire come superarle, e come trarre vantaggio dal rapporto che le lega alle imprese da cui discendono. Un compito non sempre facile da assolvere, ma di cui tutte le corporate foundations dovrebbero farsi carico per accrescere la loro credibilità e rendere maggiormente incisivo il loro impatto sociale.


Note al testo:

[1] Il programma completo dell'evento è consultabile al seguente link http://assifero.org/wp-content/uploads/2016/12/final-programme-CFKE.pdf

[2] “The relatively small number of corporate foundations in the UK contrasts strongly with the US where about 79% of larger companies have foundations as well as making other kinds of charitable donations through their corporate accounts”. Fonte: ACF, Fiona Ellis, Good Practice Guide for Corporate Foundations, November 2016. Consultabile online al seguente link: http://www.acf.org.uk/policy-practice/practice-publications/good-practice-guide-for-corporate-foundations

[3] I dati relativi a Germania, Svizzera e Francia sono contenuti nell'articolo di Charles Keidan and Andrew Milner, “Corporate foundations: last legs or new legs?”, Alliance magazine, December 2016 issue.

[4] I dati relativi al Regno Unito si trovano in ACF, Fiona Ellis, Good Practice Guide for Corporate Foundations, November 2016.

[5] Il Rapporto di Ricerca “Le Corporate Foundations in Italia” può essere consultato al seguente link: http://altis.unicatt.it/altis-091214_RapportoRicercaCorporateFoundations_xSodalitas.pdf

[6] Steffen Bethmann and Theresa Gehringer, “Corporate Foundations in Fontainebleau: A significant ‘first’”, Alliance magazine, December 2016 issue

[7] Charles Keidan and Andrew Milner, “Corporate foundations: last legs or new legs?”, Alliance magazine, December 2016 issue

[8] The Game Changers: Corporate Foundations in a Changing World, Corporate Citizenship 2016. Il report è disponibile al seguente link http://corporate-citizenship.com/our-insights/game-changers-corporate-foundations-changing-world/

[9] Bethmann, S./ von Schnurbein, G. (2015). Effective Governance of Corporate Foundations. CEPS Working Paper Series, No. 8, Basel: CEPS. Il paper è consultabile online al seguente link https://ceps.unibas.ch/fileadmin/ceps/redaktion/Downloads/Forschung/CEPS_Working_Paper/WP_8_Effective_Governance_of_corporate_foundations.pdf

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