L'introduzione allo short Paper di Stefano Zamagni, Università di Bologna. (Scopri di più su: Aiccon.it)

Secondo la celebre tesi di H. Baron (The crisis of the Early Italian Renaissance, Princeton University Press, 1955) e E. Garin, (L’umanesimo italiano, Laterza, 1947) l’Umanesimo ha conosciuto due stagioni, quella dell’Umanesimo civile dei Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Matteo Palmieri, Leon Battista Alberti e quella che principia nella seconda metà del Quattrocento allorquando riprende il sopravvento l’anima individualistica platonica, solitaria e esoterica di un Pico della Mirandola o di un Ficino.

Se il primo Umanesimo fu sociale e aristotelico, il secondo segnò piuttosto l’inizio dell’individualismo moderno, con il distacco dell’individuo dalla comunità. Tanto che Guicciardini arriverà ad affermare: “È regola di natura che l’individuo pensi solamente a sé stesso”. Queste due anime – quella civile e quella individualistica – daranno poi vita a linee di pensiero diverse nella scienza sociale moderna.

La prima sfocerà nell’edonismo e nel sensismo tra Sei e Settecento; la seconda alimenterà nel Sette-Ottocento la tradizione di pensiero dell’economia civile, all’interno della quale un posto di rilievo sarà occupato dal discorso sulla felicità pubblica con una forte rivalutazione della dimensione relazionale dell’essere umano.

Affermando che la virtù vera è la virtù civile e che la sola vita veramente umana è la vita activa, gli umanisti civili non mancarono di insistere sul fatto che non c’è virtù nella vita solitaria, ma solo nella città. Ricordava Leonardo Bruni che l’uomo “debole animale, per sé insufficiente, raggiunge la sua perfezione solo nella civile società”. È a partire da un simile presupposto che ha inizio la nuova riflessione attorno al tema della felicità che, sulle tracce dell’insegnamento aristotelico, viene vista come frutto delle virtù civiche e quindi di una realtà immediatamente sociale.

Inoltre, non c’è felicità disgiunta dalla vita civile. Sono queste le radici del discorso sulla pubblica felicità, quale si dispiegherà appieno nel Settecento con la fioritura dell’Illuminismo italiano.

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