Riposiamo sulle nostre abitudini circa l’andamento delle cose, per cui la storia ci sorprende. (Scopri di più su: Gariwo.net)
  • Analisi di Stefano Levi Della Torre, accademico, pittore e saggista
Nel sorprenderci, la storia è maestra. Pensavamo che la secolarizzazione fosse una tendenza irreversibile, ed ecco la rivincita degli dei e delle religioni. Pensavamo che gli Stati nazionali fossero in via di superamento per istituzioni sovranazionali, ed ecco che la globalizzazione ha prodotto la sua reazione e si ribalta in pervasive correnti nazionalistiche, etniche e confessionali. I gruppi umani e gli strati sociali ed etnici che si sentivano maggioranze nell’ambito degli Stati nazione, hanno scoperto di essere minoranze nella dimensione globale. Hanno sentito cambiare le proprie sicurezze, le proprie sovranità e i propri statuti.

Le migrazioni hanno cambiato i loro paesaggi umani e le loro abitudini mentali. Maggioranza o minoranza sono condizioni molto diverse di percepirsi nel mondo, ed è problematico passare dall’una all’altra. La condizione di minoranza presuppone l’esistenza dell’altro come proprio contesto inevitabile; la condizione di maggioranza invece percepisce l’altro come un’escrescenza ammessa o tollerata, o da discriminare e reprimere. La reazione nazionalistica, sessista e religiosa che incombe nel mondo islamico e ora anche in quello occidentale, è il tentativo dello spirito maggioritario di ripristinare il proprio privilegio relativo, di curare la ferita narcisistica della globalizzazione e della trasformazione digitale che ci rende irrilevanti e minoritari. America first, dice Trump, come un tempo si cantava in Germania Deutschland, Deutschland uber alles. Vediamo incrudirsi le suggestioni con cui ogni demagogia sollecita l’autocompiacimento come cura delle ferite narcisistiche di massa: cioè il razzismo, il nazionalismo e l’autocommiserazione risentita di chi si sente defraudato e vittima, e perciò in diritto a qualunque rivalsa.

Queste reazioni di massa tese a scavalcare ceti politici e sistemi democratici rivelatisi fallimentari di fronte alla crisi economica e migratoria risvegliano il Fuhrerprinzip, le aspirazioni a un capo carismatico. Al centro del XX secolo abbiamo visto la perversione messianica animare i totalitarismi portatori di persecuzione, di guerra e di genocidio. Ricorsi storici, alla Vico?

Inefficacia delle democrazie di fronte alla crisi, nazionalismo e guerre diffuse, vittimismo di massa, ricerca di capri espiatori e aspirazione a capi carismatici: queste sono le tendenze negative che stanno disgregando l’Europa mentre producono negli USA un asse tra populismo e liberismo. Sono tendenze che rievocano quelle che furono le premesse delle catastrofi del XX secolo. Su questo sfondo commemoriamo oggi la Shoah.

Se la Shoà è un culmine, se è un fatto senza precedenti e in sé specifico, è però confrontabile con altre atrocità di massa. Anzi ne è il termine estremo di paragone. Ne è il riferimento etico, politico e giuridico per quelle forze e istituzioni che tentano di prevenire e limitare le atrocità di massa e i genocidi, e ridurne le conseguenze del passato, del presente e del futuro. Se la Shoà è una tragedia specificamente ebraica come lo è l’antisemitismo, non è esclusivamente ebraica. È un crimine contro l’umanità, e come tale non può essere degradato a nutrire il vittimismo nazionalistico tra gli ebrei come pretende la destra che governa Israele. L’appello che ci viene dalla Shoà non richiama solo la responsabilità degli altri verso gli ebrei, ma la responsabilità di tutti, compresi gli ebrei e Israele, verso ognuno.

Io do qui per scontata la nostra solidarietà con le vittime del passato. (lo è meno la nostra capacità di essere solidali nei fatti con le vittime del presente). È però una solidarietà che può riposare troppo facilmente sul nostro desiderio di sentirci dalla parte giusta. Spostiamo allora la questione. Nell’ultima pagina de I sommersi e i salvati, Primo Levi scrive:

Ci viene chiesto dai giovani […] di che stoffa erano fatti i nostri “aguzzini”.[Questo] fa pensare a individui distorti, nati male, sadici, affetti da un vizio d’origine. Invece erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: salvo eccezioni non erano mostri, avevano lo stesso nostro viso, ma erano stati educati male.

Che cosa ci saremmo aspettati? Che quell’atrocità organizzata su vasta scala e senza limiti non potesse venir consentita e condotta se non da esseri “disumani”. Questa era la nostra aspettativa rassicurante: gente normale come noi non arriverebbe mai a fare e consentire simili cose; solo dei sadici patologici potrebbero spingersi a tanto, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Questo è un nostro meccanismo di riparo dall’orrore: spontaneamente cerchiamo un sollievo dall’angoscia pensando “logicamente” che, nel suo complesso, almeno il personale del Lager fosse di una specie diversa da noi.

L’affermazione di Primo Levi ci impedisce questo pensiero rassicurante su noi stessi. La sua affermazione ci dice che, in genere, persino i funzionari del Lager erano gente comune, e ci pone una domanda inquietante: che cosa ci può accomunare se non con i carnefici diretti, almeno con il conformismo consenziente, o con l’indifferenza al destino altrui, o con il non voler sapere per evitare responsabilità, con tutti quegli atteggiamenti, insomma, individuali e sociali, che hanno permesso che Auschwitz avvenisse?

Ora consideriamo che quando viene avanti l’idea che la nostra vita o la nostra sicurezza possa valere cento, mille volte la vita e la sicurezza degli altri; o quando in nome di una superiorità morale, civile o religiosa ci si abbandona ad atti che contraddicono e smentiscono proprio i principi di cui ci si vanta; o quando nella concorrenza per le risorse del pianeta si decide che alcuni gruppi umani hanno diritto alla libertà e al benessere e si condannano altri alla fame, alla schiavitù e alla morte; allora Auschwitz non apparirà solo come un gigantesco crimine del passato; ma anche come una oscura profezia di qualcosa che è sempre possibile, se non in atto.

“Erano stati educati male”, scrive Primo Levi. Quali sono i nostri educatori di fronte alle atrocità di massa? Sono in primo luogo coloro che si sono opposti, a loro rischio, alle persecuzioni, per salvare persone e diritti umani, opponendosi al senso comune e al conformismo fomentati dalla propaganda di forze politiche, religiose e militari dominanti.

Sono i “giusti delle nazioni” che hanno saputo e sanno occuparsi delle persone rompendo i criteri della propaganda persecutoria che al contrario omologa le persone allo stereotipo. È un fatto di coscienza. Ma la coscienza non è un fatto puramente personale: è lo sguardo interiorizzato di una comunità virtuale di persone con cui abbiamo via via condiviso idee morali e politiche, uno sguardo che ci osserva, e una voce collettiva che ci giudica e ci avverte di ciò che è degno e di ciò che è vergogna. Il minimo che ciascuno di noi può fare è di partecipare attivamente a una tale comunità di valori, che incida nel senso comune a conferma di una frase consueta ai giusti: “Non avrei potuto agire diversamente”.

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