Trentaquattro milioni di persone detengono il 45% della ricchezza globale, e gli 80 miliardari più ricchi del Pianeta dispongono di risorse pari a quelle del 50% più povero della popolazione mondiale. Una fotografia della disuguaglianza. (Scopri di più su: AltrEconomia.it)

Il professor Anthony B. Atkinson, autore di "Disuguaglianza. Che cosa si può fare?", spiega ad Ae: "Io sono convinto che la lotta alla povertà debba avere la priorità".
In un mondo dove non fa quasi notizia che un calciatore acquisti un jet privato per la modica cifra di 19 milioni di dollari (è stato Cristiano Ronaldo), è del tutto accettabile che gli 80 miliardari più ricchi del Pianeta dispongano di risorse pari a quelle del 50% più povero della popolazione mondiale. Ovvero 3 miliardi e mezzo di persone. E che la ricchezza di questi 80 fortunati sia cresciuta negli ultimi 5 anni del 50%, in barba a ogni retorica sulla “crisi”. Non la nostra, avranno pensato. Nessuno di noi -chi scrive, chi legge- fa parte dello sparuto gruppo, né di quello 0,7% della popolazione adulta globale che, secondo un recente studio di Credit Suisse, detiene il 45% delle ricchezze complessive nel mondo. Ovvero più o meno come tutti gli altri messi insieme: 34 milioni contro 4,8 miliardi di adulti.

La disuguaglianza nel mondo ha raggiunto livelli preoccupanti, stando alle dichiarazioni del Fondo monetario internazionale. Ma le preoccupazioni riguardano anche il mondo più ricco, se è vero quel che ha ricordato non più di un anno fa l’Ocse: la distanza tra ricchi e poveri nei 34 Stati membri, tra cui c’è anche l’Italia, è al livello più alto degli ultimi 30 anni, con il 10% più ricco della popolazione che detiene 9 volte e mezza la ricchezza del 10% più povero. Nel 1980 la proporzione era 7 a 1. L’Ocse pone anche l’accento sulla perdita economica legata a livelli di disuguaglianza così alti. E li misura: in 25 anni l’iniquità ha fatto perdere l’8,5% del prodotto interno lordo del gruppo. Il giudizio del Fondo monetario è speculare e altrettanto netto: a minore disuguaglianza corrisponde crescita economica più robusta e veloce.

“La disuguaglianza non è l’unico pressante problema che il mondo affronta, ma è uno dei più importanti, poiché l’iniquità sottende altre questioni. Ad esempio il cambiamento climatico è un caso di iniquità globale e inter generazionale”.

Anthony B. Atkinson, 71 anni, maestro di Thomas Piketty e ideatore dell’Indice Atkinson, che misura la disuguaglianza dei redditi, è Fellow del Nuffield College dell’Università di Oxford e Centennial Professor della London School of Economics and Political Science. A fine novembre Raffaello Cortina Editore ne ha pubblicato il corposo volume “Disuguaglianza. Che cosa si può fare?”, straordinaria summa di quasi 50 anni di studi sul tema.

Il libro parte dal suggerire la distinzione tra disuguaglianza di opportunità, e disuguaglianza di esiti, che Atkinson ci spiega così: “La maggior parte delle persone approva il garantire parità di opportunità, che è una parità di condizioni nel corso della vita. Ma non è possibile avere pari opportunità in presenza di estrema diseguaglianza dei risultati. La disuguaglianza dei risultati -reddito, ricchezza e consumo- colpisce le opportunità della vita della generazione successiva. Lo Stato può fornire scuole per tutti, ma un bambino che va a scuola affamato è meno in grado di beneficiarne e inizia il suo percorso di vita con maggiore povertà”.

Come definire la disuguaglianza?

“Ci sono molte dimensioni della disuguaglianza, anche se di solito limitiamo la nostra attenzione alla disuguaglianza economica. Gli economisti spesso hanno in mente le differenze tra retribuzione di lavoratori qualificati e non qualificati. Ma la paga è solo uno dei fattori determinanti del reddito familiare. Il reddito da capitale ad esempio è una quota minore del reddito complessivo, ma è molto più concentrata. Dobbiamo poi tener conto anche della disuguaglianza all’interno delle famiglie, in particolare quella che riguarda i redditi di uomini e donne. In una recente ricerca condotta con Alessandra Casarico della Università Bocconi e Sarah Voitchovsky, abbiamo evidenziato che le donne sono sempre più sottorappresentate nella zona superiore della distribuzione del reddito: nel 2012, hanno rappresentato il 28 per cento della top 10 per cento dei redditi lordi -già ben al di sotto la loro quota proporzionale- ma solo il 12 per cento della parte superiore dello 0,1 per cento”.

Ci sono stati periodi nella storia recente in cui la disuguaglianza era minore?

“Abbiamo rilevato come la disuguaglianza e la povertà si siano sensibilmente ridotte in Europa negli immediati decenni del dopoguerra, e fino al 1970. È stato il risultato della nascita del welfare state, della tassazione progressiva sul reddito, delle politiche di piena occupazione e di una quota crescente del lavoro nel reddito nazionale. Negli anni 2000 si sono verificati cali significativi nella disuguaglianza e la povertà, certamente da livelli elevati, in America Latina”.

Si può ridurre la disuguaglianza senza recessione economica, o perdita di posti di lavoro?

“Da un punto di vista teorico, quando si riducono le imperfezioni del mercato con iniziative per ridurre l’iniquità, si incontrano strade grazie alle quali lo sviluppo si può ottenere coniugando equità ed efficienza. Politiche che danno priorità alla riduzione della disoccupazione e investono sui giovani possono ridurre la disuguaglianza. Io sono convinto che la lotta alla povertà debba avere la priorità, ma uno dei messaggi importanti da dare è che le politiche che riducono disuguaglianza e povertà dovrebbero essere responsabilità non di un solo ministero, ma di tutti quelli che compongono i governi. E i governi da soli non bastano: tutti giochiamo un ruolo come individui -lo dimostrano le campagne contro le società che eludono le tasse- attraverso l’attivismo, come lavoratori attraverso i sindacati, come imprenditori verso i lavoratori e infine come famiglie”.

La lezione di Atkinson in Italia è molto ascoltata. Michele Raitano è ricercatore di Politica economica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, Dipartimento economia e diritto, membro del comitato scientifico dei Social Cohesion Days (socialcohesiondays.com) e co-autore del libro “Dobbiamo preoccuparci dei ricchi?” (il Mulino, 2014).

“Sappiamo che la disuguaglianza è in crescita, ma è importante sottolineare che è aumentata anche perché si è formato un nuovo gruppo di lavoratori ultra pagati. Per questo sono importanti i criteri di misurazione. Spesso le indagini sono campionarie -in Italia così accade coi dati di Banca d’Italia- e questo tende a non intercettare gli estremi della distribuzione, ovvero i più poveri e i più ricchi. Servono dunque altri indicatori, anche perché, soprattutto se si guarda al dato globale, il reddito medio non è sufficiente. La disuguaglianza è un problema sociale, da comprendere inserito in un contesto. La società -anche quella italiana- si polarizza verso nuova élite di super ricchi, il cui reddito deriva dal lavoro -o da una rendita di posizione di questo- più che da patrimonio.

Possiamo anche essere d’accordo sul tema della parità di opportunità, e sul fatto che poi il mercato porta a risultati differenti. Il problema che non è sempre facile fissare uguali punti di partenza. Ci sono persone che possono frequentare università d’élite, andare all’estero a studiare, spendersi relazioni. La cosiddetta ‘curva del Grande Gatsby’ dimostra che nei Paesi in cui è alta la disuguaglianza, questa si trasmette di padre in figlio, ovvero è molto bassa la mobilità sociale. Perché si genera questa correlazione? Perché i redditi dei figli dipendono da caratteristiche che gli hanno trasmesso i genitori: letto dall’altro punto di vista, il vantaggio che hanno i figli dipende anche da un vantaggio che hanno avuto i genitori. Le ricerche dimostrano ad esempio che a parità di istruzione i risultati dei figli continuano a dipendere dai genitori. Per questo è certamente importante lottare contro la disuguaglianza attraverso politiche di redistribuzione. Ma il problema coi super ricchi è quanto tassarli, oppure chiedersi perché sono diventati così tanto ricchi?

Ovvero: perché si formano le disuguaglianze? Non è solo un fatto di ‘dotazioni’, ma di regole del mercato -che non funzionano-. Per questo dovremmo incidere anche su come funzionano i mercati, in particolare quello del lavoro. Un meccanismo che viene chiamato ‘predistribuzione’, e che riguarda, ad esempio, anche le regole di funzionamento della finanza.

In altre parole: nelle economie contemporanee il mercato del lavoro tende a essere sempre più luogo nel quale si creano enormi disuguaglianze. Solo una parte esigua della disuguaglianza nei salari -nell’ordine del 10-15%- è attribuibile al ‘capitale umano’, ovvero la formazione. Quindi le distanze medie tra i redditi di lavoratori con diverso titolo di studio sono molto contenute. La disuguaglianza tra lavoratori con la stesso grado di istruzione invece è altissima -nel caso degli avvocati l’Indice di Gini in Italia segna 0,65-. Si chiama ‘disuguaglianza within’, e la letteratura scientifica è praticamente assente su questo aspetto.

Non solo: se si guardano i dati italiani, si nota che la disuguaglianza è cresciuta poco nel corso degli ultimi anni. Ma a guardarli bene i dati dicono anche altro. Ad esempio che effettivamente i trasferimenti statali riducono la disuguaglianza. Il problema è che al loro interno spesso si annoverano le pensioni. Ma la pensione è un trasferimento che una persona fa da una fase all’altra della propria vita, e chi ha goduto di alti redditi da lavoro prima, godrà di alta pensione dopo. Depurando il dato dai trasferimenti pensionistici, emerge con chiarezza l’alto grado di disuguaglianza in Italia”.


La misura della redistribuzione

L’Indice di Gini (introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini nel 1912) è una misura globale della diseguaglianza nella distribuzione -all’interno di una determinata collettività- di un carattere trasferibile, soprattutto il reddito. Varia da 0 a 1, dove con zero si intende la distribuzione perfetta, ovvero quella in cui tutti gli individui hanno medesimo quantitativo, e con 1 concentrazione massima, per cui un solo soggetto ha tutto, e tutti gli altri nulla.


Che fare?

Uscito a novembre 2015, “Disuguaglianza” è il più recente libro di Anthony B. Atkinson, docente del Nuffield College dell’Università di Oxford e Centennial Professor della London School of Economics.

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